“Madri gotiche” di Patrizia Busacca. A cura di Alessandra Micheli

Ci sono libri semplici da raccontare.

E poi libri difficili che necessitano di un attenzione e di una sensibilità particolare.

Non so se sono degna di farlo io, oggi, ma ci provo e chiedo scusa alla meravigliosa Patrizia e alla sua famiglia se sarò indegna e incapace di far comprendere la sua soffusa bellezza.

Madri gotiche entra dentro l’anima e la lacera.

Con le se parole acuminate, con quegli istanti di vita che non appartengono solo alla protagonista ma a tutti noi.

Perché volenti o nolenti siamo risultato di un passato ombre di antenate che hanno tracciato una strada da seguire a volte in modo inconsapevole.

Ed è il tipo di traccia che può determinare la persona che diventeremo con tutto il carico emotivo da raccogliere nel nostro zaino immaginario.

E sapete quale delle emozioni ci insegnano a vivere e elaborare le nostre madri?

Il dolore ragazzi miei.

Quella sensazione che dominerà metà della nostra vita e che se usato nel giusto dosaggio e nel giusto modo diventa la chiave per la vera crescita interiore.

E a insegnarlo devono essere le nostre antenate quelle con la A maiuscola, in barba del politicamente corretto.

Perché è il femminile a stretto contatto con un ‘emozione che tanto a a che spartire con le morte in ogni sua sfaccettatura.

Morte dell’io.

Morte in senso lato perché terribilmente unita alla vita.

Morte del vecchio concetto del se, morte di abitudini e di ideali.

Morte a trecentosessanta gradi, perché soltanto dalla signora con la falce possiamo rinascere.

E tutto questo, tutti questi concetti vanno a scontrarsi anche con l’idea che abbiamo della famiglia, della forza e dell’ambiente che ci circonda. Se abbiamo antenate folli ma equilibrate allora possiamo cantare sulle ossa, ossia sulle potenzialità del nostro divenire.

Ma se abbiamo madri fagocitanti, madri oppressive, madri con la mente adombrata dall’incapacità di realizzarsi come persone, il tragitto verso la crescita diventa molto tortuoso.

In una notte lunga una vita, la Busacca si trova a fare i conti con il suo retaggio femminile, con quelle madri gotiche che sembrano uscite da un quadro di Goya: troppo intente a divorare pezzi di se per insegnare alle figlie il magico dono dell’arte femminile della tessitura.

Intessere la propria tela con i fili del dolore.

E cosi la vita di Patrizia si interseca con quella della zia perduta, immersa nei fumi di una pazzia che ha origine proprio da questo modo forse errato o forse impreciso di considerare la femminilità sottomessa al finto potere che decide il destino.

Sottomesse all’idea di fatalismo, private del libero arbitrio e dello sguardo soave e compassionevole di Baubo, la divinità che partecipava alla crescita emotiva, fisica e biologica di ogni donna.

Quando il corpo cambia e strane pulsioni divengono quasi sussurri cacofonici.

Quando la vita sboccia e chiede di spandere la propria fragranza nel mondo.

Quando il corpo diventa non più tempio ma fardello da portare avanti con fatica è Baubo e il retaggio femminile a salvarci.

Patrizia lotta contro il suo corpo malato cosi come la zia tenta di non affogare nella sua mente danneggiata.

Ognuna nata in un periodo diverso tenta di sopravvivere al fato. Perché mente e corpo sono indissolubilmente legati, la sopravvivenza di uno, determina la rinascita dell’altro..

patirzia ha un male che le cambia il corpo.

Ed è difficile da accettare che qualcosa di strano e alieno con cui farei conti.

Non ho il cancro.

Ho avuto solo una miotectomia.

Una parola spaventosa per un intervento di routine.

Eppure mi sono ritrovata nelle parole di questa grande amazzone, quando guardava i cambiamenti e le ferite, che inevitabilmente stravolgevano la sua fisicità cosi come la sua interiorità.

So che la mia amata guerriera, madre sorella e amica non ce l’ha fatta.

Io si.

E questo significa che ho un dovere sacro, da portare avanti.

Farmi portavoce nel mio piccolo delle sue memorie.

Ho la cicatrice e il corpo totalmente modificato da un intervento salvifico che ho vissuto però, come una sorta di agguato terribile.

Guardo la cicatrice mentre leggo il testo e sono fiera di averla.

Anche se deturpa il corpo.

Anche se mi fa essere una donna che non conosco.

Patrizia e Linda da lassù mi aiutano.

E mi incoraggiano.

Perché il retaggio femminile anche se sbagliato è forte.

Donne che nonostante i pregiudizi non hanno ceduto.

Hanno portato avanti gravidanze e hanno seminato in noi, noi donne di oggi, la nostra speranza per il futuro.

E cosi oggi Patrizia sono anche io a ricordarti.

A ricordare quanto il dolore sia importante.

Sia fondamentale per costruire il nostro essere donne, guerriere, amazzoni e un po’ sognatrici.

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