“L’eredità dell’antiquario. Le indagini di Boretti Orlandini volume due” di Giovanna Barbieri. A cura di Alessandra Micheli

Conosco Giovanna Barbieri oramai da tempo.
E ho potuto apprezzare la sua passione e il suo stile in tanti libri, dagli storici ai gialli medievali, fino alla narrativa sentimentale. Però…
Ecco come direbbe la brutta persona della Anderson io sono cattiva dentro.

E Giovanna è troppo fine per dare voce ai demoni con cui amo intrattenermi durante il giorno e la notte.
Eh si mio lettore.
Io amo le storie cupe, le storie che partono dai bisogno umani fino a intrinsecarsi con il mondo oscuro dentro di noi.
Perché di oscurità, l’uomo, se ne intende.
E se nei libri non c’è quel pizzico di follia che mi vive dentro, non riesco a essere completamente soddisfatta.
E cosi, i gialli mi piacciono e li leggo quando sono di pessimo umore, perché l’ordine che contengono, e quelli di Giovanna di ordine ne hanno a iosa, calmano il mio spirito irrequieto.
Ma quando il mio umore è alle stelle, beh allora io devo andare a fondo, pasticciare con il fango e bearmi di quella vista.
Quando ha dato alla stampa i suoi gialli contemporanei, ero quindi molto titubante.
Perché la contemporaneità, lo sappiamo benissimo, vive e si distingue dal passato proprio perché di ordine, di linearità non ha nulla.
Il mondo post guerra fredda è diventato cosi sfumato, sfaccettato e difficile da definire, che ci ha lasciato soltanto una grande confusone.
Tutti i valori sono stati messi in discussione, le certezze distrutte e le sicurezze sfaldate.
E soprattutto i nostri meravigliosi anni ottanta, sono stati davvero l’anticamera di questa sensazione di disagio, di solitudine e di smarrimento, culminato oggi nel 2024 con un tentativo assurdo di mettere la nostra stessa anima congelata in una foto o in un social che di esse si fanno scudo.
E’ nato tutto li, in quel 1980 che ha portato con se gli strascichi di certi eventi anche a noi oggi.
E cosi leggere un libro che deve affrontare proprio quella cesura con un passato semplice da rendere inteleggibile mi stuzzicava e mi incuriosiva.
Come poteva una persona come Giovanna, cosi buona di animo, con quella bontà tipica delle anime pure, rendere viva l’atmosfera di anni che erano oscuri, grigi e soprattutto indefiniti?
Ovviamente per comprendere l’evoluzione del personaggio ho letto entrambi i testi, di seguito, come se si trattasse di un unicum intrecciato e impossibile da distinguere.
Boretti e Olandini possono parlarci soltanto in una linearità che ci fa comprendere la complessità e soprattutto la profondità di entrambi i personaggi.
Che si trovano a vivere nel 1982, quando davvero la vita ha preso la discesa più impervia, distruggendo ogni certezze, nello stato, nella storia e in noi stessi.
Dal 1980 in poi abbiamo avuto i peggiori omicidi di mafia, da Piersanti Matteralla a Dalla Chiesa.
Lo stato sembrava indifeso, de costruito, senza più la sua immagine di garante della sicurezza e del benessere pubblico. Aldo Moro ancora aleggia su di noi, con tutte le parole non dette, con i depistaggi che diventeranno quasi di casa nella nostra bella Italia. Mentre la sola gioia che troviamo è ovviamente la soddisfazione calcistica, come se soltanto lo sport dci renda davvero fratelli e davvero capaci di perdonare il passato che, ancora incombe su di noi.
Non è facile raccontare questa storia.
Credetemi, serve cinismo privato di ideali, serve un anima abituata la marcio.
Ma Giovanna ci è risuscita, lasciando la sua purezza sullo sfondo. Perché questi libri, sia il sangue dei figli, sia l’eredità dell’antiquario raccontano, mostrano, e denunciano senza però perdere mai la volontà di stringere in un abbraccio gli ideali.
Che se sembrano malconci, e quasi massacrati dalla storia, sono ancora vivi.
Feriti, vilipesi, ammaccati ma vivi.
E vanno lodati, vanno ricordati, vanno mantenuti in vita facendo in modo di cicatrizzare le ferite.
Boretti e Orlandini divengono cosi il simbolo di un Italia nuova, che tenta di barcamenarsi senza perdere se stessa lungo la strada di una modernità che rischia di azzittire la voce della coscienza.

Abituati ai fascisti che ancora si sentono protetti dall’oblio della dimenticanza. Dalla violenza che diventa quasi l’unico appiglio a cui aggrapparsi mentre il tempo bussa insistente alla porta del cambiamento.
Una donna poliziotto in un mondo che deve essere ancora maschile. Un ispettore gay che tenta di farsi strada nonostante i pregiudizi.
E omicidi che hanno il sapore della vendetta.
Che vivono e si nascondono nei bassifondi dei ricordi o della strada facile per potersi arricchire.
Delitti efferati raccontati con grazie a rispetto.
Ed è questo che mi ha convinta.
Non solo personaggi che parlano molto di noi, delle fragilità umane di chi è da sempre in prima linea contro un crimine che spesso è insensato e inspiegabile. ma anche la delicatezza con cui l’orrore deve essere presentato, con una sorta di riverenza per le vittime, vittime non solo del malvivente, ma anche di un mondo che forse cambia troppi in fretta, e che in questa modifica lascia per forza indietro un po’ di compassione.
Non c’è posto per il sentimento in questa folle corsa verso chissà quale occulto sovrano.
E’ denaro, potere, riscatto.
Voglia di riparare i torti, quei torti che spesso la giustizia non può o non riesce a punite con la stessa eclatante bramosia che le vittime pretendono.
La giustizia è discreta e silente.
La vendetta urla e si mostra.
Ma in tutto questo è l’umanità di Fiammetta e Guglielmo che ci lascia una fievole ma persistente speranza: basta soltanto un gesto di gentilezza e comprensione in questo vortice cacofonico, per darci un po’ di sollievo.
L’eredità dell’antiquario e il sangue dei figli sono due libri che non potete affatto perdere nei quali Giovanna dimostra, davvero, tutta la sua bravura.
E quell’umanità che anche a me cinica e amante dell’oscurità,. Convince e conquista.

Il blog presenta “Quegli stupidi eroi di provincia” di Riccardo Lestini, Les Flaneurs. Da non perdere!

«Perché si finisce così noi, noi eroi, noi pischelli di provincia,

noi di Ponte Rabbione. Morti ammazzati, pazzi, disperati.

Soli. Soli come me, che ancora smanio e non torno a casa,

che ancora non mi lascio stare e vago da un porto all’altro».

C’è chi insegue una femme fatale dei quartieri alti, senza voltarsi indietro verso la casa popolare in cui è cresciuto, e chi dà prova di eroismo in battaglia contro i topi. C’è l’ex enfant prodige che ora deve assaggiare l’amarezza delle aspettative deluse, e chi approfitta della gravidanza per fare i conti con sé stessa. C’è chi cerca nei locali di spogliarello un antidoto alla noia del sabato sera in paese, e chi torna dalla guerra e trova una casa che non sembra più tanto familiare né accogliente. C’è chi tenta di trasformare le partite di quartiere in “Campionati del mondo”, e chi si dà ai funghi allucinogeni. Sono gli abitanti di Ponte Rabbione, paesino immaginario dell’Umbria, in cui le strade non offrono percorsi alternativi e tutti conoscono tutti tranne sé stessi. Le loro avventure compongono questo irriverente romanzo in episodi che, scavando nel profondo di sentimenti universali, ribalta la realtà quotidiana per trasformare esistenze ordinarie in storie straordinarie.

BIOGRAFIA

Riccardo Lestini (Passignano sul Trasimeno, 1976). Ha scritto i romanzi Il Piccolo Principe è morto (2019) e Firenze, un film (2020), la raccolta di racconti Ogni fottuto Natale (2020) e il libro di poesie Solitudini (2013). È autore di saggi tra cui Alberini 00. L’uomo che inventò il cinema italiano (2021) e Alla ricerca di un attore perduto (2011). Per il teatro ha firmato varie regie: Le ultime 24 ore di Aldo Moro e Con il tuo sasso, dedicato al G8 di Genova. Sul tema ha scritto la sceneggiatura del fumetto L’estate ritorna, pubblicato con testi e disegni di Erri De Luca e Zerocalcare nel volume Nessun rimorso (2021) e il monologo breve Genova Libera, con cui ha aperto i concerti dei Modena City Ramblers. Con Les Flâneurs Edizioni ha pubblicato People are strange (2022).

In piena luce, Daniela Matronola, Les Flaneurs Edizioni. A cura di Barbara Anderson

Il mondo visto con gli occhi di un bambino

È un grande circo in un giorno pieno di sereno

Ed è così che guardo te

Con quella stessa intensità

E con il viso acceso di curiosità

Così recitava la canzone di Eros Ramazzotti ed è con le sue parole che oggi inizierò la mia recensione a questo romanzo decisamente speciale.

E ci terrei in particolar modo a condividere con voi uno dei pensieri del grande Giovanni Pascoli, secondo il quale in ciascun essere umano, a prescindere dalla sua estrazione sociale, si cela un fanciullo che rimane tale nonostante il trascorrere del tempo.

Cioè uno spirito sensibile in grado di meravigliarsi dinanzi alle piccole cose, proprio come fanno i bambini.

Pascoli però mette in evidenza un dettaglio e cioè che la differenza tra il poeta e l’uomo comune è che solo il primo è in grado di ascoltare e capire fino in fondo il fanciullo dentro di sé.

Con questa premessa ci tengo a dire che questa autrice dal delizioso talento e dall’accurata e originale scrittura ha indubbiamente un’anima poetica poiché attraverso il suo romanzo ci ha saputo mostrare veramente il mondo, la vita, un’epoca passata, attraverso non solo gli occhi di una fanciulla ma anche attraverso quelli di chi sa fare della vita poesia.

Delicata, curata, ricercata, immersiva è la sua scrittura; una prosa che a primo impatto risalta per il suo essere sofisticato, una scrittura complessa perché complesse sono le emozioni che ci racconta e che ci fa vivere e rivivere.

Ma nella sua penna si trova anche l’onestà, la sincerità, la lealtà dell’autrice stessa che ci trasmette idee e concetti davvero complessi e difficili come difficile è affrontare la complessità della vita. Eppure, quel linguaggio così ben articolato, quelle parole tutte soppesate, tutte razionalmente scritte hanno il gps delle parole attivato sulla destinazione finale che è quella del nostro cuore e della comprensione e assunzione di concetti essenziali alla nostra esistenza culturale, sociale, emotiva, sentimentale.

I suoi capitoli sono brevi e seguono personaggi della storia attraverso passaggi, percorsi e sentieri di vita e di quotidianità che ci appartengono, che sono reali, che viviamo o che abbiamo vissuto in qualche tempo passato; sotto un cielo che non cambia mai, dove nemmeno le stelle mutano, ma cambiano le vite di ogni individuo che sollevando gli occhi al cielo ritrova quelle stelle come immobili certezze che poi di fatto non esistono nemmeno più.

Il vocabolario utilizzato dall’autrice è meravigliosamente vasto, la struttura di ogni frase e paragrafo è pregna di metafore, di riferimenti storici, di spunti di riflessione.

Con il suo scritto l’autrice non solo ci racconta la storia di questi ragazzini ma ci lascia spazio di comprendere, di decidere, di analizzare gli eventi e farli nostri, con le nostre personali percezioni.

Non è un romanzo che dice come stanno le cose ma un testo che ci mostra attraverso la sua struttura potente e intelligentemente intrigante i fatti; quelli che ci permettono di trarre le nostre personali conclusioni, che saranno forse diverse per ogni lettore ma saranno ugualmente intense per ognuno di essi con la stessa forza e lo stesso spessore di scrittura.

Fa strano pensare che in fondo gli adulti nella vita tendono a essere soli, mentre i bambini hanno il dono e la capacità di saper stare insieme anche nelle diversità sociali, emotive o caratteriali.

La protagonista principale è una bambina che si chiama Lucetta, una bimba dalla travolgente innocenza e dalla curiosità contagiosa è colei che in questa storia porta la luce, una luce che abbaglia a volte ma che altre si attenua, che appare forte, decisa, altre delicata e soffusa, una luce che ci fa da guida nel mondo della nostra esistenza e della percezione di ciò che accade non solo intorno a noi ma anche dentro di noi.

Lucetta vive a Cassino, in una famiglia numerosissima, circondata da amore, da affetti, da pulsante vitalità familiare, frequenta una scuola delle suore (e mi ha ricordato la me bambina quando andavo alla sua stessa età in una scuola molto simile).

Le giornate di Lucetta sono colme di avventure piccole e grandi della sua quotidianità e dei suoi compagni e amici; tutti così diversi, tutti così simili nella loro innocenza, nelle loro piccole grandi battaglie che coinvolgono il periodo dell’infanzia e che poi crescendo diventano ancora più grandi.

Le esperienze di quando siamo bambini forgiano il modo in cui affronteremo le esperienze che vivremo in età adulta.

Nulla è banale, nulla è casuale, tutto ha un suo corso, un suo piano, un suo progetto che nel tempo affronterà mutazioni, cambiamenti. Attraverso tentativi ed errori si arriverà ai piccoli grandi successi e anche ai piccoli grandi fallimenti. La vita è fatta di passione, di corse, di cadute e di risalite a volte da soli altre sostenuti da chi ci cammina accanto o da chi ci tiene anche per mano.

La prosa suadente e la scrittura di stile affascinano e il tutto ci dà una percezione di grande qualità letteraria ed emotiva.

Lucetta sa giocare a pallone come i maschi e spera di poter essere vista dai suoi compagni non solo perché una bambina ma anche perché sa giocare come loro, sa essere forte, conosce le regole del gioco; ma quando si vive in un contesto sociale dove le altre bambine hanno interessi diversi e dove per loro giocare a calcio è una corsa forsennata inseguendo o scappando dalla palla, Lucetta ha difficoltà nel riuscire a mostrare ciò che sa fare e sa fare bene.

Confesso che nel capitolo in cui le bambine giocano a calcio contro i maschi sono stata in un delirio di risate perché la descrizione della partita era così reale da farmi letteralmente scompisciare.

Lucetta che guarda le compagne allibita, le bimbe che sembrano soldati romani in battaglia sulla difensiva nella grande arena dei gladiatori, i maschi che le guardano divertiti, annoiati e sconcertati.

Lucetta che grida, che cerca di dare istruzioni e l’estenuante fatica delle sue compagne per non arrivare allo scopo prefissato dal gioco.

Giuro ero con le lacrime agli occhi.

I bambini di questa storia hanno tutti un enorme carisma colmo di genuina semplicità e spontaneità, ognuno di loro però ci mostra piccoli drammi, regole sociali, accettazione di condizioni spesso al limite dello sfruttamento e dell’abuso.

La presenza di Suor Fiore che con il suo volto dolce e lo sguardo severo ci mostra un contrasto e una forza di autorevolezza e controllo, dove la religione a volte non è sufficiente a dare la comprensione adeguata della sensibilità dell’animo dei bambini.

Alcune persone accettano la loro condizione, il loro trattamento come la normalità quando in realtà è un rapporto malsano che con il tempo non solo distrugge ma annienterà chi ne è vittima.

Ci sono enormi sprazzi di storia attraverso le giornate di questi bambini e della famiglia di Lucetta. Divertente e toccante anche il personaggio di Filomena, la donna di servizio della nonna di Lucetta, alla frenetica, inarrestabile e costante ricerca di un fidanzato come una cacciatrice in attesa della sua preda, una preda qualsiasi su cui ella possa costruire i suoi sogni, i suoi desideri e plasmare a comando la sua felicità.

L’autrice inserisce nel romanzo non solo la quotidianità di questi ragazzi ma anche i fatti di cronaca, le notizie alla tv che a volte passano perfino inosservate mentre la vita si svolge all’interno delle nostre case, Eddy Macks il ciclista belga che dallo schermo della tv piange; un adulto in lacrime che cerca di difendersi dopo essere stato scoperto per il suo uso di droghe con il doping sportivo.

Così viaggiano in parallelo le tragedie degli adulti e quelle dei bambini ai quali tutto appare buffo, infantile, innocente, superficiale e non rilevante.

I bambini hanno i loro muri da scavalcare, i loro limiti e le loro paure, dal distacco dei genitori che anche se temporaneo appare per loro sempre una condizione di tragedia permanente. Da piccoli lasciarsi anche solo per un istante ci fa cadere in un abisso di terrore.

Lucetta controlla sempre dalle scale se sta risalendo sua mamma, se sta tornando con quel cuore che pesa e che diventa leggero solo nel momento in cui la vede finalmente arrivare.

Incontrerete Graniero, Sandro, Riccardo Mino, Margherita, la bambina che sembra già grande e forte e che invece è fragile e vulnerabile come tutti gli altri e forse anche un po’ di più.

Mino con le sue gambette piene di graffi e croste e i calzini calati sulle scarpe, che corre sul campo di calcio così come si corre nella vita, con entusiasmo, con determinazione e con coraggio.

Ci sono le penne stilografiche che scompaiono misteriosamente dalle classi, ci sono i modellini di carri armati che diventano una collezione di cui vantarsi con i compagni, ci sono le tinture di iodio, le saponette Camay, le sceneggiate in inglese.

La profondità di questo testo è davvero speciale, ci tocca, ci sfiora, ci accarezza, ma riesce anche in alcuni momenti a strapparci pezzi di cuore attraverso situazioni e parole che ci lasciano liberi di interpretare anche dolorosi eventi che si schiudono sotto i nostri occhi.

Gli anni Sessanta ci vengono raccontati proprio da questi bambini; quelli che siamo stati anche noi e in cui ci ritroveremo e ci riconosceremo proprio identificandoci in uno di loro.

I sabati al mercato americano, le scoperte che ci turbano e che ci mostrano un’altra faccia di quella medaglia che è la vita che si porta appesa al cuore con fierezza sapendo di aver dovuto affrontare le piccole grandi guerre dell’esistere.

Cosa accade quando si diventa grandi?

Ci si ritrova per scoprire come siamo diventati diversi, ma anche come siamo in fondo rimasti sempre uguali, nelle rimpatriate organizzate con la scusa di mangiare ma per il piacere di abbracciarsi di nuovo; qualcuno non ci sarà più, qualcun altro ci sarà ancora, alcuni resteranno nei nostri cuori per sempre.

Questo romanzo è uno dei candidati al premio Strega 2024. Nel suo connubio di scrittura affascinante e ricercata, nella sua storia che ci riporta alle origini del nostro passato e alla nostra storia, con la delicatezza con cui vengono affrontati anche argomenti sociali delicati e importanti, è una storia che parla dei bambini che siamo stati ieri e degli adulti che siamo diventati oggi.

Come il prestigiatore sa affascinare lo spettatore con i suoi trucchi dando l’illusione di una realtà alterata, questa scrittrice adesca, incanta il lettore dentro lo spazio della sua immaginazione, in quella che viene definita fascinazione affabulatoria, solo che le storie che ci racconta non sono solo affascinanti e fantasiose ma anche reali e fondate su fatti e periodi storici realmente esistiti.

Bellissimo. Da tenere in considerazione che la lingua inglese è molto presente nel testo.

Una storia in cui non mi sono solo vista ma mi sono anche riconosciuta.

Il blog consiglia “La memoria che ho di te” di Tecla Marelli, Lifebooks. Da non perdere!

Dal 19 marzo 2024 è in tutti i bookstore e ordinabile in libreria il nuovo libro di Tecla Marelli La memoria che ho di te da LifeBooks. Un romanzo d’amore, esplorato in tutte le sue forme; è una storia che fa riflettere e pensare a quanto siano preziosi i ricordi delle persone care, che rimangono nel cuore anche quando non ci sono più.

Una scrittura semplice, diretta e amorevole quella di Tecla Marelli che riesce a far entrare il lettore nelle vicende dei protagonisti di questo romanzo che riesce a far tornare tutti un po’bambini.

La “Memoria che ho di te” è un libro di formazione, è adatto per adolescenti che si ritroveranno in alcuni aspetti della storia, ma anche per persone adulte. È un libro da leggere per emozionarsi e per riflettere su diverse tematiche, che riguardano tutto l’arco della vita, come il tema della perdita, della malattia, dei rapporti familiari difficili, della difficoltà ad accettarsi e a riconoscere le proprie emozioni” dichiara l’autrice. “Parla inoltre di rinascita e di seconde possibilità; affronta il tema della malattia di Alzheimer, evidenziando quanto possa essere dolorosa e influenzare l’intero sistema familiare.”

Trama: Luna ha diciassette anni e non ne ha mai elaborato la perdita della madre. A seguito della malattia di Alzheimer della nonna, che si è sempre presa cura di lei e ora ricoverata in casa di cura, si ritrova a fare i conti con emozioni e ricordi che aveva sepolto dentro se stessa. Questo la porta a conoscere nuovi lati di sé e degli altri. Grazie a un rinnovato rapporto con il padre, il fratello, a un nuovo amore, alla nonna e alle amiche di sempre, Luna riesce finalmente ad accettare se stessa, ad accogliere le sue emozioni e reazioni, guardando in faccia ciò che resta della memoria della mamma, permettendosi di piangere e sorridere al suo ricordo.

Biografia: Tecla Marelli è una mamma e insegnante di scuola secondaria di secondo grado che vive in provincia di Bergamo. Laureata in Scienze dell’Educazione e in Scienze Pedagogiche all’Università Bicocca di Milano, ha da sempre la passione della scrittura e il sogno di pubblicare un romanzo. Nel 2021 ha pubblicato con Fabbrica dei segni l’albo illustrato “Nonno Ricordo e Nonna Memoria”, che tratta il delicato tema della demenza di Alzheimer per spiegarlo ai più piccoli. La memoria che ho di te è il suo primo romanzo.