Conosco Giovanna Barbieri oramai da tempo.
E ho potuto apprezzare la sua passione e il suo stile in tanti libri, dagli storici ai gialli medievali, fino alla narrativa sentimentale. Però…
Ecco come direbbe la brutta persona della Anderson io sono cattiva dentro.
E Giovanna è troppo fine per dare voce ai demoni con cui amo intrattenermi durante il giorno e la notte.
Eh si mio lettore.
Io amo le storie cupe, le storie che partono dai bisogno umani fino a intrinsecarsi con il mondo oscuro dentro di noi.
Perché di oscurità, l’uomo, se ne intende.
E se nei libri non c’è quel pizzico di follia che mi vive dentro, non riesco a essere completamente soddisfatta.
E cosi, i gialli mi piacciono e li leggo quando sono di pessimo umore, perché l’ordine che contengono, e quelli di Giovanna di ordine ne hanno a iosa, calmano il mio spirito irrequieto.
Ma quando il mio umore è alle stelle, beh allora io devo andare a fondo, pasticciare con il fango e bearmi di quella vista.
Quando ha dato alla stampa i suoi gialli contemporanei, ero quindi molto titubante.
Perché la contemporaneità, lo sappiamo benissimo, vive e si distingue dal passato proprio perché di ordine, di linearità non ha nulla.
Il mondo post guerra fredda è diventato cosi sfumato, sfaccettato e difficile da definire, che ci ha lasciato soltanto una grande confusone.
Tutti i valori sono stati messi in discussione, le certezze distrutte e le sicurezze sfaldate.
E soprattutto i nostri meravigliosi anni ottanta, sono stati davvero l’anticamera di questa sensazione di disagio, di solitudine e di smarrimento, culminato oggi nel 2024 con un tentativo assurdo di mettere la nostra stessa anima congelata in una foto o in un social che di esse si fanno scudo.
E’ nato tutto li, in quel 1980 che ha portato con se gli strascichi di certi eventi anche a noi oggi.
E cosi leggere un libro che deve affrontare proprio quella cesura con un passato semplice da rendere inteleggibile mi stuzzicava e mi incuriosiva.
Come poteva una persona come Giovanna, cosi buona di animo, con quella bontà tipica delle anime pure, rendere viva l’atmosfera di anni che erano oscuri, grigi e soprattutto indefiniti?
Ovviamente per comprendere l’evoluzione del personaggio ho letto entrambi i testi, di seguito, come se si trattasse di un unicum intrecciato e impossibile da distinguere.
Boretti e Olandini possono parlarci soltanto in una linearità che ci fa comprendere la complessità e soprattutto la profondità di entrambi i personaggi.
Che si trovano a vivere nel 1982, quando davvero la vita ha preso la discesa più impervia, distruggendo ogni certezze, nello stato, nella storia e in noi stessi.
Dal 1980 in poi abbiamo avuto i peggiori omicidi di mafia, da Piersanti Matteralla a Dalla Chiesa.
Lo stato sembrava indifeso, de costruito, senza più la sua immagine di garante della sicurezza e del benessere pubblico. Aldo Moro ancora aleggia su di noi, con tutte le parole non dette, con i depistaggi che diventeranno quasi di casa nella nostra bella Italia. Mentre la sola gioia che troviamo è ovviamente la soddisfazione calcistica, come se soltanto lo sport dci renda davvero fratelli e davvero capaci di perdonare il passato che, ancora incombe su di noi.
Non è facile raccontare questa storia.
Credetemi, serve cinismo privato di ideali, serve un anima abituata la marcio.
Ma Giovanna ci è risuscita, lasciando la sua purezza sullo sfondo. Perché questi libri, sia il sangue dei figli, sia l’eredità dell’antiquario raccontano, mostrano, e denunciano senza però perdere mai la volontà di stringere in un abbraccio gli ideali.
Che se sembrano malconci, e quasi massacrati dalla storia, sono ancora vivi.
Feriti, vilipesi, ammaccati ma vivi.
E vanno lodati, vanno ricordati, vanno mantenuti in vita facendo in modo di cicatrizzare le ferite.
Boretti e Orlandini divengono cosi il simbolo di un Italia nuova, che tenta di barcamenarsi senza perdere se stessa lungo la strada di una modernità che rischia di azzittire la voce della coscienza.
Abituati ai fascisti che ancora si sentono protetti dall’oblio della dimenticanza. Dalla violenza che diventa quasi l’unico appiglio a cui aggrapparsi mentre il tempo bussa insistente alla porta del cambiamento.
Una donna poliziotto in un mondo che deve essere ancora maschile. Un ispettore gay che tenta di farsi strada nonostante i pregiudizi.
E omicidi che hanno il sapore della vendetta.
Che vivono e si nascondono nei bassifondi dei ricordi o della strada facile per potersi arricchire.
Delitti efferati raccontati con grazie a rispetto.
Ed è questo che mi ha convinta.
Non solo personaggi che parlano molto di noi, delle fragilità umane di chi è da sempre in prima linea contro un crimine che spesso è insensato e inspiegabile. ma anche la delicatezza con cui l’orrore deve essere presentato, con una sorta di riverenza per le vittime, vittime non solo del malvivente, ma anche di un mondo che forse cambia troppi in fretta, e che in questa modifica lascia per forza indietro un po’ di compassione.
Non c’è posto per il sentimento in questa folle corsa verso chissà quale occulto sovrano.
E’ denaro, potere, riscatto.
Voglia di riparare i torti, quei torti che spesso la giustizia non può o non riesce a punite con la stessa eclatante bramosia che le vittime pretendono.
La giustizia è discreta e silente.
La vendetta urla e si mostra.
Ma in tutto questo è l’umanità di Fiammetta e Guglielmo che ci lascia una fievole ma persistente speranza: basta soltanto un gesto di gentilezza e comprensione in questo vortice cacofonico, per darci un po’ di sollievo.
L’eredità dell’antiquario e il sangue dei figli sono due libri che non potete affatto perdere nei quali Giovanna dimostra, davvero, tutta la sua bravura.
E quell’umanità che anche a me cinica e amante dell’oscurità,. Convince e conquista.