So e ne sono consapevole che per molti la lettura di questo testo risulterà ostica.
Molto ostica.
Sembrerà un accozzaglia di racconti, a tratti confusi, quasi irreali caratteristica a cui il lettore oggi non è affatto abituato.
Senza certi paletti, senza appigli sicuri si naufraga in un mare fatto di non sense e di atti di vandalismo contro le regole di scrittura.
Che sono, non nascondiamolo, la nostra coperta di Linus.
Anzi rettifico, la vostra.
Molti da questi racconti risulteranno indignati, disgustati e grideranno allo scandalo: come può una seria casa editrice pubblicare tale assurdità?
Perché è seria.
E la serietà si ravvisa nel coraggio di provare, sperimentare o riabilitare stili ormai dimenticati quindi a conclusione della lettura è lecito domandarci e ora?
Come lo interpretiamo?
Ed è questa domanda a farci entrare, in punta di piedi nel testo.
Con rispetto siori e siore, perché questa casa non ha assolutamente le regole a cui siamo, a nostro malgrado, abituati.
Allora che senso ha il libro di Gnemmi?
Primo indizio è privo di una struttura logica di tanti testi a cui siamo oramai avvezzi.
Anzi definiamo meglio quest’affermazione.
La logica qua esercitata è differente da quella che il mondo ci ha fornito come mezzo interpretativo del reale.
Se noi siamo improntati alla razionalità, anche nel fantasy un quanto abbiamo fortemente bisogno che sia credibile, questo testo risulterà un vero pugno nello stomaco.
Creerà uno shock oserei dire culturale.
Perché Gnemmi mette e lo fa con una sorta di malvagio ghigno in crisi la strutturata percezione che usiamo anche nella fantasia.
Che ovviamente smette di essere fantasia per diventare altro.
Se avete una sorta di culto della ragione e dello scientismo, della ferra adesione alle regole allora questo libro vi farà arrabbiare.
E anche in questo caso avrà compiuto la sua missione.
Perché vi arrabbierete proprio per il motivo per cui è stato scritto: distruggere le difese e far posto a strani e bizzarri amici, fluiti dai meandri della coscienza che daranno a voi suggerimenti impossibili. E non si può credere alle cose impossibili no?
Se non si è allenati, almeno tre volte a colazione.
Ecco che tra queste follie troveremo il simbolismo, l’esoterismo ossia la ricerca di ciò che è nascosto, che sia una parola, che sia un anagramma o un doppio senso.
Troviamo la cabala ossia la possibilità che un termine assume l’aspetto del diamante, dotato di diverse sfaccettature.
E lei, la mia amata cibernetica, il volto sacro del significato che unisce tutto lo scibile umano e non disgrega assolutamente nulla. Arriverà l’importanza di una comunicazione che si nutre di metafore e metaloghi e arrivano persino gli esperimenti di Adalbert J. Junior sulla percezione, quando un racconto assumerà per ciascuno una diversa colorazione, porterà a ogni lettore un diverso messaggio.
E credo, questo concedimelo Marco, che persino l’intruso sarà diverso per ognuno, in quanto elezioni di vita, beh sono diverse per ciascuno di noi, perché l’anima cambia, l’anima ha tante sonorità. L’anima ha bisogno sempre mutanti.
Nonostante questi assunti il testo dovrà necessariamente essere ermeticamente chiuso, perché non è tanto importante il significato decodificato, quanto il tentativo di farlo.
Certi libri intinti di realismo magico, di weird e di bizzarro sono in fondo questo, mappe che non sono territori e territori che a volte si fanno beffe delle mappe.
E questo significa rifiutare davvero la cacofonia di un moderno che rinchiude anime e coscienze in una alta torre dorata.
E ci estraniano da noi stessi perché la cacofonia che ci invade disturba ogni comprensione, disturba l’interazione tra mente e natura, tra percezione e gangli nervosi, tra dati reali e immaginazione che li colora e elabora.
L’impiegato e i 44 gatti allora diventiamo noi.
Noi improvvisamente consapevoli come quell’accozzaglia di diversità, quegli elementi banali, come ombrelli, cappelli, e altri oggetti assurdi in fondo parlano.
Parlano di noi, creano reti di interazioni esoteriche perché nascoste eppure evidenti.
Noi siamo connessi a un fiore, cosi come alle immagini delle nuvole. A un impiegato che da vita a sogni e obli, a illusioni e chimere. Intento a cercare quella che amo chiamare la settima stella, lassù nel firmamento di una coscienza più ampia dell’universo stesso, fatta di di stelle morenti e di stelle che nascono.
Con la sua energia oscura che risucchia pianeti e vita dentro un famigerata zona nera.
E che la fa uscire trasformata e diversa.
Cosi Gnemmi fa con la parola.
Significati che muoiono come stelle e rinascono come emozioni.
E quest’umanità che cerca democraticamente di livellare i talenti, di omologare il significato, i quarantaquattro gatti e il suo impiegato diventano il nuovo che prende l’antico e lo rinnova e ce lo regala. Cosi Gnemmi è come Fosco Mariani.
O come Lewis che va a caccia sul suo sualo.
E cosi il non sense cosi fortemente presente nel testo ci salva dal pericolo di diventare parte di un oscurità non feconda come quella dei black hole.
E sapete perché?
Perché il non sense permette di equilibrare ordine e caos.
Trovare un bilanciamento tra senso compiuto e non compiuto.
Ci presenta il mondo in modo capovolto o forse alterato e ci dona al libertà necessaria a incidere con un unghia lunga e culminata sulla parola, costringendola a piegarsi al nostro volere.
Pensate alla poesia di Carrol abberwocky, pubblicata nel 1871 in “Alice attraverso lo specchio“.
Essa è costruita con l’uso di parole quasi del tutto prive di senso compiuto il cui significato è spiegato da Humpty Dumpty, che le interpreta usando il portmanteau (ossia la fusione di due parole diverse, che il più delle volte hanno un segmento, fonema o lettera, in comune. Può essere considerata una sotto categoria o estensione dell’acronimo.)
E questo non è che esempio fulgido di metasemantica.
La stessa tecnica di Fosco illustrata nella raccolta del o, orientalista, alpinista, fotografo, scrittore e poeta italiano) utilizzata nella sua raccolta di poesie del 1978 “Gnòsi delle fànfole”, che non ho paura di accostare al testo di Gnemmi.
Perché vedete la semantica è quella parte della linguistica che studia il significato delle parole, degli insiemi delle parole, delle frasi e quindi del testo stesso.
Ci siamo vero?
Ecco la metasemantica va oltre il significato lessicale dei termini, oltre persino il significato cultura dei reati ( non scordiamoci che il testo è sempre prodotto di una specifica cultura ndr) e utilizza parola prive di REFERENTE ma dal suono familiare del codice/lingua in uso.
E seguendo le regole sintattiche e linguistica a cui però si attribuiscono significati arbitrari.
E’ il metodo Humupty Dumpthy, che sposta il livello di percezione classica a un segmenti di significato sino a allora inesplorati, donando alle parole l’aspetto di un baule con doppio fondo.
Ecco che in questo testo il linguaggio a tratti onirico e il contesto del testo e la parola stessa usata da Gnemmi racconta molto più della prosa tradizionale ma sconvolgendo necessariamente gli assunti culturali su cui la società si basa e fonda, usando il libro come socializzazione secondaria.
Questo dobbio di aver inteso il correto dignificato di ogni racconto, assomilgia alal fatiche che il lettore fa con Finnegans Wakedi James Joyce.
Lo affermo e lo confermo.
Il lettore rimane disorientato, forse arrabbiato perché non comprende che ha inteso il senso corretto e anzi se il testo stesso abbia un senso.
Dubbio che rimane e che ci trasporta su un piano di apprendimento felicemente chiamato Deuteroapprendimento batesoniano, dove il lato immaginativo del cervello prende il sopravvento e cresce, cresce e cresce.
Ecco che io sorrido.
Perché quando la fantasia e il reale stesso che la produce diviene altro dal mero attributore di significati valoriali precisi, beh il mio volto diventa simile a quello dello stregatto.
Non posso farci nulla.
Provengo e resto felice nella mia cuccia nell’Altrove.
E quindi eccovi serviti miei lettori.
Entrate nel mondo dell’impiegato.
E leggetelo.
E trovando l’intruso scoprirete anche molto di voi.
Io il mio l’ho trovato, ma no, non ve lo svelo.
Magari lo indovini tu.