THE CITY OF STARDUST di Georgia Summers: un romanzo fantasy dark academia, fenomeno editoriale, debutto strabiliante – in libreria il 30 aprile

Il magico e il macabro si intrecciano nello strabiliante debutto di Georgia Summers, una storia di sacrifici e segreti, un romanzo fantasy dark academia che è subito diventato un fenomeno editoriale conquistando il primo posto nelle classifiche inglesi a una sola settimana dall’uscita.

C’è un prezzo da pagare per sopravvivere, Violet Everly.

È solo questione di decidere quale.

Per secoli, gli Everly hanno visto i migliori e più brillanti membri della loro famiglia scomparire, presi come il prezzo da pagare per un crimine che nessuno ricorda, per uno scopo che nessuno comprende.

La loro aguzzina è una donna di nome Penelope, che non invecchia, non si ammala e non dimentica mai un torto.

Sono passati dieci anni da quando la madre di Violet Everly è partita con l’intento di spezzare la maledizione, e non è più tornata. Adesso Violet deve trovarla o verrà presa al suo posto.

La sua ricerca la conduce in un mondo cupo e seducente, fatto di studiosi affamati di potere, divinità crudeli e mostri assetati di vendetta. Ma anche a incontrare Aleksander, il silenzioso assistente di Penelope, di cui Violet sa di non potersi fidare ma da cui è irresistibilmente attratta.

In lotta contro il tempo per la sua vita, Violet dovrà scoprire i segreti di sua madre, trovare la chiave e varcare le porte di una città fatta di polvere di stelle, dove la storia e la sfortuna degli Everly hanno avuto inizio…

GEORGIA SUMMERS è una scrittrice per metà britannica e per metà trinidadiana che nel corso della sua vita ha vissuto in molti paesi del mondo, tra cui la Russia, la Colombia e gli Stati Uniti. Quando non si occupa di libri, sta pianificando la sua prossima grande avventura. Attualmente sta a Londra, ma sogna di abitare un giorno in un castello stregato con un fantasma come maggiordomo.

“Il mostro di Trieste” di Gianluca Rampini, Newton Compton Editori. A cura di Barbara Anderson

I bambini hanno paura del buio.

Nell’oscurità, quando gli occhi iniziano ad abituarsi alle tenebre, la luce che riesce a infiltrarsi da sotto le fessure di una porta, dalle crepe di una parete o dalla luce della strada riflessa dalla piccola finestra iniziano a muoversi le ombre, quelle che prendono nella nostra mente delle forme insolite, grottesche; ci appaiono come creature mostruose, distorsioni della nostra mente, delle nostre più intime paure.

E gli adulti?

Crescendo si smette di avere paura del buio?

No, non sempre, solo che diventando grandi si inizia a osservare l’oscurità con la razionalità a volte, con una lucidità fatta di maturità e di esperienza, sappiamo che nel buio può nascondersi un pericolo ma il buio può anche proteggerci dal male, ci permette di nasconderci, di non farci trovare, vedere, scoprire.

Ma cosa rappresenta in effetti la paura del buio?

Indubbiamente il rapporto con il nostro buio interiore, le ombre diventano il lato oscuro della nostra personalità, si proietta il timore dell’oscurità la quale nasconde pericoli reali o forse immaginari ma nel profondo della nostra essenza interiore, si ha timore di incontrare se stessi, di dover fare i conti con una parte inquietante di noi stessi scatenando una lotta interiore.

Il mostro di Trieste è una storia forte, intensa, un viaggio emotivo, morale profondo che ci trascina nel buio abissale, quello del male, quello dell’orrore inimmaginabile mostrandoci una realtà oscura, malvagia, crudele, ci mostra i mostri, quelli che non son nascosti nell’oscurità delle nostre stanze o dei nostri bambini, quelli che si muovono alla luce del giorno, che ci guardano, che ci passano accanto, che ci seguono, che ci spiano, che pianificano il male, organizzandosi anche in gruppi criminali.

In questa prosa predomina in assoluto la suspense, una storia che è ricca di azione, di mistero, di colpi di scena con una serie di sequenze ad altissima tensione soprattutto emotiva.

Eh sì cari lettori questo autore ha toccato tasti molto delicati che mi hanno turbata, scossa, e che hanno messo in discussione perfino la mia integrità morale.

Un romanzo che scuote e che scuote con violenza il suo lettore.

Già dalle prime pagine riesce a catturare il lettore e a intrappolarlo, alimentandolo con la sofferenza, con il dolore, quello di un ragazzino che ha il terrore di suo padre, del suo capanno misterioso dove sono sempre entrati i suoi fratelli fino al giorno in cui arriva anche il suo turno. C’è ansia, angoscia, anticipazione, percezione del male, della sofferenza, dell’abuso, quello psicologico, quello fisico, quello che scuote l’innocenza, la strazia, la violenta e la distrugge e ti ci porta rapidamente senza darti nemmeno il tempo di prendere fiato perché il fiato lo tratterrete dall’inizio alla fine.

Non sono riuscita ad abbandonare la lettura nemmeno per un attimo, era una specie di droga dovevo sapere, dovevo scoprire, dovevo comprendere perché il male abbia questo impatto violento sulla serenità delle persone; per quale oscuro motivo esista la malvagità.

L’ambientazione del romanzo è Trieste, una città bellissima dall’atmosfera unica, un mix di cultura latina, slava, tedesca, immersa tra caffè letterari storici, monumenti, la bellezza del lungomare, che viene annunciato dalle rive, i canali che portano il mare fino all’interno della città stessa, il molo Audace con la sua gettata di cemento costruita sul relitto di una nave affondata nel 1740 e che si protende dal golfo dando l’illusione che la città si getti proprio nel mare stesso.

Una Trieste asburgica, che avvolge i suoi abitanti in un’atmosfera antica, Piazza Unità con i suoi bar, gli edifici bianchi come quello del comune; una Trieste tra queste pagine che ci viene mostrata quasi come contrasto, come il palcoscenico del bene e del male in lotta tra loro.

La percorriamo durante le indagini del poliziotto Zeno Pentecoste, della sua squadra di poliziotti mentre la bora scuote con violenza gli alberi, ma anche gli animi dei protagonisti che si troveranno a vivere un incubo, quello del presente in cui uno spietato serial killer sta commettendo degli omicidi terribili; dove i corpi vengono mutilati, smembrati e letteralmente incollati agli alberi con i rami che trafiggono le viscere rendendoli immagini grottesche come sculture dell’oscurità.

Zeno è un padre di famiglia che si trova a dover equilibrare con fatica il suo rapporto ormai sgretolato con una moglie malata che si trova in un istituto capace di prendersi cura della sua condizione psichiatrica, e una figlia adolescente che si ribella, che ha voglia di fare le sue esperienze in un mondo che Zeno sa essere pericoloso. 

Là dove l’innocenza di una bambina la rende bersaglio di quei predatori, quei mostri che si muovono nelle strade spossate non dal vento impietoso della bora triestina ma da quello del male che li spinge verso atti immorali, crudeli, maledetti e disgustosi.

Sappiate che qui si parla di pedofilia, di criminalità, che non solo spaccia immagini pedo pornografiche ma che ha anche una organizzazione che rapisce bambine, le tortura, le abusa, le mette all’asta come se fossero delle bambole di pezza con cui giocare.

Come si fa ad essere dei genitori protettivi senza far sentire il peso delle nostre preoccupazioni ai nostri figli?

Come si fa ad avere fiducia in un mondo dove il male si cova sotto le trame sottili della quotidianità?

Come si fa ad avere fiducia nelle capacità di giudizio di una bambina di soli 13 anni?

Non si può. 

Non quando si conosce il mondo; non quando costantemente stiamo combattendo contro i mostri del nostro passato scossi da quelli che vivono nel nostro presente.

L’equilibrio, la stabilità, tutto vacilla sotto i piedi del poliziotto Zeno, soprattutto la domanda: il fine giustifica davvero i mezzi?

Quale è il limite tra legge, giustizia, vendetta e integrità morale?

Difficile se non impossibile non entrare in totale sintonia con i personaggi di questo romanzo da Zeno il poliziotto, ai suoi colleghi De Sanctis, Silvestrin e Sonja ma anche con il serial killer che sta distribuendo terrore e orrore al servizio forse chissà, della giustizia?

Qual è la malagiustizia? In quale momento la vendetta diventa lecita, giustificata e legale?

Sono stata in lotta con me stessa per tutto il corso della lettura, ho messo in discussione i miei valori morali, il mio concetto di giustizia.

Sono arrivata al punto di fare il tifo per il male.

Perché; come si combatte il male se non con altro male? Con l’odio, con la rabbia, con il rancore?

Bisogna perdonare, bisogna lasciare che la legge faccia giustizia o forse attendere che la giustizia divina si faccia avanti e chissà quale forma la giustizia divina possa avere se emergesse dal buio dell’oscurità dell’inferno per fare luce sulla realtà che ci circonda.

Assolutamente una lettura di forte impatto emotivo, le scene d’azione sono così ben descritte nei dettagli che rendono il tutto così avvincente.

Nella scena in cui Zeno si trova al poligono di tiro sono riuscita a sentire la puzza dello zolfo dei proiettili, il rumore dei bersagli di cartone che giravano e si spostavano, ho sentito gli spari, l’affanno di Zeno, percependo perfino i suoi pensieri e la sua determinazione nell’affrontare le sue paure, anche quelle covate nelle oscurità della sua anima.

Le verità che scoprirete leggendo saranno di grande impatto e vi coglieranno completamente di sorpresa, sono rimasta spesso a bocca spalancata dallo stupore per eventi e situazioni che non immaginavo potessero presentarsi davanti ai miei occhi.

Proverete insieme a Zeno quella deformazione della percezione della giustizia e il disorientamento della bussola morale, che ad ogni capitolo, ad ogni pagina si muoverà come impazzita in cerca della giusta direzione.

La giustizia, quella della verità, quella che spesso non abbiamo nemmeno il coraggio di ammettere a noi stessi. Un thriller sensazionale che mi ha fatto avere perfino paura dei miei stessi pensieri costringendomi ad affrontarli con coraggio.

Paura del buio Fear Of The Dark Iron Maiden

Sono un uomo che cammina da solo
E quando sto percorrendo una strada buia
Nella notte o passeggio nel parco

Quando la luce inizia a cambiare
A volte mi sento un po’ strano
Una leggera angoscia quando fa buio

Paura del buio, paura del buio
Ho sempre paura che
ci sia qualcosa accanto a me
Paura del buio, paura del buio
Ho la fobia che ci sia qualcuno sempre qui

Hai mai fatto scorrere le tue dita lungo il muro
E hai sentito un brivido sulla schiena
Mentre stai cercando la luce?
A volte quando hai paura di guardare
all’angolo della tua stanza
Hai percepito che qualcosa ti sta osservando

Paura del buio, paura del buio
Ho sempre paura che
ci sia qualcosa accanto a me

Paura del buio, paura del buio
Ho la fobia che ci sia qualcuno sempre qui

Sei mai stato solo di notte
Pensando di sentire dei passi dietro di te
E girandoti non c’era nessuno?
E mentre cammini più in fretta
Non riesci a guardare di nuovo
Perché sei sicuro che ci sia qualcuno là

Guardando film dell’orrore la scorsa notte
Discutendo di streghe e leggende popolari
L’ignoto ti turba la mente
Forse la mente ti gioca degli scherzi
Percepisci e improvvisamente fissi gli occhi
sulle ombre che danzano da dietro

Paura del buio, paura del buio
Ho sempre paura che
ci sia qualcosa accanto a me
Paura del buio, paura del buio
Ho la fobia che ci sia qualcuno sempre qui

Quando sto camminando su una strada buia
Sono un uomo che cammina da solo

Complimenti a uno scrittore che sa giocare con le sue trame avvincenti ma anche con i sentimenti e le emozioni dell’essere umano mostrandoci con schiettezza quanta disumanità ancora ad oggi ci circonda e ci minaccia.

Ricordatevi sempre che colpevole è anche colui che tace.

Il blog consiglia “Il tempo misurato tempo vissuto” di Edoardo Boncinelli e Gianluca Serafini, Castelvecchi editore. Da non perdere!

«Il tempo è il nostro supplizio» scriveva Simone Weil. Concepito dalla cultura occidentale come qualcosa di lineare e progressivo, viene quantificato attraverso misurazioni cicliche nel tentativo di domare il suo inesorabile scorrere. Il tempo determina mutamenti all’interno e all’esterno di ogni individuo, trasforma il corpo che invecchia e alimenta la memoria, costituendo un enigma oggetto di indagine ancora oggi. Tra ritmi circadiani e orologi babilonesi, passando per le più recenti evoluzioni della fisica contemporanea, Edoardo Boncinelli e Gianluca Serafini indagano il pulsare ritmico della vita biologica e di quella psichica, provando a tracciarne i confini sulla scorta dei grandi pensatori del passato. 

EDOARDO BONCINELLI
Genetista e divulgatore scientifico, è stato direttore del laboratorio di Biologia molecolare dello sviluppo presso l’Istituto scientifico universitario San Raffaele e direttore di ricerca presso il Centro per lo studio della farmacologia cellulare e molecolare del CNR di Milano. Nel 2016 ha ricevuto la laurea magistrale honoris causa in Scienze filosofiche presso l’Università degli Studi di Palermo. Con Castelvecchi ha pubblicato La povertà in parole povere (2022), Arcibaldone (2022), La storia di tutte le storie (2019), Capire la mente (2017) e Gli enigmi del tempo (2016).


GIANLUCA SERAFINI
Professore ordinario di Psichiatria presso l’Università di Genova e direttore della Unità Operativa Complessa di Psichiatria dell’IRCCS Ospedale Policlinico San Martino. Si occupa di psicopatologia, neurobiologia e neuroscienze, temi sui quali ha pubblicato centinaia di articoli scientifici su riviste di rilevanza nazionale e internazionale.

“Il niente .Riflessioni filosofico-scientifiche sull’origine del mondo” di Gabriele Centorame. A cura di Loriano Romboli

Lo sguardo assiduo e perspicace di un osservatore cólto e sensibile

È noto quel passo delle Pensées in cui Blaise Pascal (1623-1662) dettò un’illuminante definizione dell’uomo, a suo parere debole e forte al tempo stesso: incerto e vacillante come una “canna”, in balìa dei tanti soffî del vento, e tuttavia stabile e vigoroso in ragione delle sue capacità critico-empiriche e teorico-conoscitive, delle sue doti preziose di essere “pensante”.

Ritengo che tale spunto riflessivo debba essere accostato a un altro celebre luogo della medesima opera, ove il grande moralista e matematico francese esprimeva tutto lo smarrimento che lo prendeva, allorché considerava la sua solitudine di individuo collocato in una determinata, specifica posizione intellettuale-morale, in una precisa condizione esistenziale, peculiare e limitata, entro un universo spazio-temporale dalle illimitate possibilità. Anche nelle pagine della parte seconda del diario filosofico-scientifico di Gabriele Centorame, impegnativamente intitolato Il Nientee recentemente pubblicato dall’Editore Guido Miano, è viva la preoccupazione di porre in risalto i “limiti”, e quindi le insufficienze, la precarietà, la sostanziale illusorietà della complessiva vicenda vitale-naturale e segnatamente storico-umana, inesorabilmente condannata dal nesso dinamico “materia-antimateria” a un niente primordiale, basico perché esso appare la risultante obbligata del “movimento” stesso della realtà fisica: “Viviamo per un tempo che a dir poco è insignificante. Niente eravamo e niente saremo. Quindi la vita in senso lato è inesistente. Per poco tempo è reale. È però reale in un tempo così sfuggente da apparire senza alcun dubbio illusoria (…) Pochi sono i momenti di felicità e molti quelli in cui appaiono le percezioni di un mondo tutto sommato assurdo e inutile e quindi poco interessante” (p.13). Il diario è un giornale puramente concettuale, ricco di informazione e scandito da annotazioni acute nella loro complessità e da approfondimenti speculativi e scientifici svolti in un dialogo serrato con le fonti più prestigiose – da Dante a Leopardi, da Socrate, Platone, Aristotele fino a Kant, Hegel, Freud, Heidegger, da Pitagora a Marie Curie ad Albert Einstein per giungere a Carlo Rubbia – , in un contesto cultural-problematico dei cui contenuti non è possibile dare conto in un intervento recensorio dalle finalità necessariamente soltanto orientative, stante inoltre la notevole varietà della trattazione, che non disdegna altresì incursioni nella cronaca contemporanea e sa aprirsi a divagazioni descrittive di questo genere: “Il sole sorge all’orizzonte in un cielo sereno, azzurro con raggi colorati di giallo-oro. La giornata è bella fin dal primo mattino e i cuori si riscaldano dopo alcuni momenti di grigiore e di tristezza” (p.25).

Preme comunque sottolineare la distinzione, sottile ma apprezzabile da un punto di vista teoretico e assiologico, fra niente e nulla; giova al proposito dare direttamente la parola all’autore: “Quando facciamo riferimento al niente si vuole mettere in evidenza che l’essenza unica del tutto è proprio niente, concreto, astratto e somma delle parti. Da non confondere con il nulla, concetto astratto in contrapposizione all’essere, anch’esso astratto (…) Il niente non è un’idea, è niente e basta. Qui coincidono tutte le cose, l’infinitamente piccolo e l’infinitamente grande: è tutto e non è niente” (p.134, corsivi miei).

Detto altrimenti, se il nulla è un’idea-valore negativa rivolta al progressivo depotenziamento, all’aggressione nichilisticamente distruttiva dei modelli ideali e degli abiti di condotta generalmente accolti in quanto considerati positivi, affermare il niente significa rilevare lo stato di fondo dell’ordine delle cose naturali e sociali, a partire dal quale viene precisandosi l’elaborazione etico-culturale delle “menti associate” (per servirci della bella espressione di Carlo Cattaneo): queste ultime operano indubbiamente in situazioni provvisorie e transeunti, nondimeno il quadro interpretativo appena accennato comporta al più la loro relativizzazione, non certo l’invalidazione o addirittura l’inconsistenza: “In altre parole, la mia concezione di un assoluto inesistente non implica la rinuncia all’esistenza, semmai proprio il contrario, cioè l’attaccamento ancora più forte a quello che abbiamo per una necessaria sicurezza e una maggiore tranquillità” (pp.66-67), anche perché “(dobbiamo essere) obiettivi, non c’è da inveire sul mondo naturale in sé. La natura fa quello che deve fare. É sempre rigogliosa a creare e potenziare la vita”(p.67).

Dell’impegno elaborativo degli uomini sono parti essenziali l’arte (ad esempio la poesia di Dante, al quale Centorame tributa un omaggio commosso: “La Divina Commedia di Dante è grande ed armonica nelle sue parti…Per scrivere tanti canti e tutti in modo preciso a livello formale non basta l’impegno costante ci vogliono anche bravura, competenza e cultura. Rispetto a lui gli altri scrittori sono come tanti pivellini. Questi si possono distinguere per profondità di contenuti, ma Dante è grande in tutto. Se non il massimo sicuramente uno dei massimi del mondo”, p.35), la riflessione etica (con il correlativo rifiuto della violenza e di ogni forma di egoismo individualistico e sopraffattorio (“(Viviamo) in un mondo dominato dai soldi, dall’interesse personale e dall’appiattimento generale sotto l’aspetto etico, religioso e giuridico. Nei casi peggiori siamo travolti da eccessivo individualismo e dalla corruzione, non per aiutare, ma per danneggiare il prossimo”, p.72), la ricerca scientifica. Risulta pertanto conseguente l’elogio schietto ed esplicito dei principî profondamente innovativi, dell’autentica portata rivoluzionaria nel campo della morale e della civiltà dell’Annunzio del Cristo: “Il Cristianesimo e il Nuovo Testamento hanno affermato e divulgato l’amore universale e il rispetto di qualsiasi essere umano. Dio generando il figlio in una donna ha posto un punto fermo, cementato appunto dall’Assoluto, nella nostra anima: amare l’altro. Per duemila anni l’amore senza scopi specifici, ma per un fine universale si è fatto strada superando ed annullando pregiudizi connessi allo schiavismo, alla differenza sociale e al rifiuto del più debole” (p.53).

Floriano Romboli

Gabriele Centorame, “Il Niente” – II Parte (Riflessioni filosofico-scientifiche sull’origine del mondo), premessa di Enzo Concardi, Guido Miano Editore, Milano 2024, pp. 180, isbn 979-12-81351-23-3, mianoposta@gmail.com.