“Will Shakespeare, la tua volontà” di Cinzia Pagliara, Haiku edizioni. A cura di Alessandra Micheli

 

Anche io come Cinzia Pagliara ho un amore ossessivo e immenso per William. Non so da dove sia nato, né ho avuto la volontà (ecco la parola chiave) di cercare nei meandri del mio passato, la fonte di quest’amore.

Credo derivi davvero da un immenso attaccamento alla parola, al suo ritmo interiore, una sorta di venerazione estatica del suo potere. La parola e sarà sempre, una porta con cui poter accedere all’abisso o al paradiso.

O a entrambi.

La parola è magia e manipolazione, ha significati diversi, crea e distrugge. È l’incantesimo da sempre usato come legamento o come muro per distanziarci dagli altri. Pasta una parola per scatenare una guerra, basta la stessa per portare la pace. Può decidere il futuro di miliardi di persone soltanto ingabbiandoli in sé stessi, divorandoli, mangiandoli, consumandoli.

Al tempo stesso può suscitare grandi ideali, spingerci alla ribellione.

La parola è l’inizio e la fine.

Da un verbo nacque il mondo, e forse da un verbo morirà lo stesso mondo. Fine e inizio, bellezza e distruzione. Ecco cosa ci affascina di quei versi che il mio, anzi il nostro Will, fa scorrere liberi sulle bianche pagine, con quell’inchiostro che assume il religioso significato di sangue dell’anima, nero, come spesso è nera la nostra profondità istintuale. E lo stesso nero è foriero non di morte ma di vita, poiché assorbe ogni colore, cosi come la parola assorbe le nostre emozioni, e se ne nutre, come il vampiro Carmilla, bellissimo e terribile.

E la parola in questo testo è la padrona. Frasi, aggettivi, e un solo filo conduttore To Will. Non è solo il nome del nostro mentore, ma anche il sinonimo di volontà. E mi sono resa conto, leggendo Cinzia, che ogni sua opera è volontà. Volontà di ribellarsi al femminicidio nella storia, inquietante e tragica, di Desdemona, tradita dall’amore. Ma a sua volta capace di esercitare la volontà di non cedere sotto le mani crudeli del suo carnefice salvando di Sua Volontà quel grido di vita, che la porta a restare fedele non al suo uomo, ma all’amore che essa stessa salva fino all’estremo sacrificio. Desdemona non ammette una colpa che non ha. Non chiede perdono, chiede solo un ultimo istante in cui inondare il suo attimo di parole. Non ammetterà mai l’errore perché chi ama non erra. Chiede solo un minuto per tornare a colorare il sentimento di bellezza tale da sconfiggere una morte ingiusta.

E cosi il primo femminicidio si colora di poesia, quasi a rendere più evidente la bestialità di un amore malato.

Cinzia e forse io siamo Desdemona quando non nascondiamo la nostra alterità al mondo, senza giustificarci per quegli attimi in cui non siamo presenti ma viviamo in una dimensione irraggiungibile, dove possiamo essere demiurghi della nostra esistenza. E siamo Ofelia che davanti alla vergogna, davanti alla privazione di ciò che abbiamo di più caro, decide non di rivestire la pelle scomoda della Maddalena redenta, ma di poter dire ancora una volta la sua ultima parola:

Ricorda.

Ricorda il male che ci fai uomo quando tradisci i nostri sogni. quando invadi la purezza del nostro virgineo candore con la lordura delle tue ossessioni e fragilità. Quando rubi l’innocenza e te ne vanti. E noi non saremo lì a piangere, urlare, prostrarci davanti alla vergogna. Noi preferiamo morire ma morire con dignità. Preferiamo abbracciare la pazzia e essere scomode, derise, piuttosto che cedere. La volontà di essere fino all’estremo sacrificio.

E siamo Giulietta.

Seduttiva e candida. Decisa bere l’amaro calice e a portare dentro di sé tutto il peso della scelta, quella che la spinge a amare per due, perché Romeo non riuscirà mai a farlo meglio di lei. Perché in fondo Romeo non rinuncerà mai a essere uomo, un Montecchi, un dominatore. Sarà Giulietta la protagonista, quella che eserciterà il diritto di scelta, e anche quello di sbagliare.

La volontà.

Ed è quella che accompagna questo libro, la volontà di una donna di non rinunciare mai a essere se stessa, strana, anacronistica, originale, ma profondamente dedita all’io.

E in questo libro femminile e eterno, io danzo tra le parole e la loro bellezza assieme a Cinzia, ringraziandola di avermi reso partecipe di quel mondo incantato, forse un po’ al rovescio, una tana del bianconiglio dove uno scoglio è un castello e dove un cielo è semplicemente il nostro regno.