La poesia, quei versi sublimi discesi direttamente dalle regioni dell’essere.
Boccata d’aria per la nostra anima cosi assetata, cosi abituata al un sole luminoso e cosi caldo da offuscare con quella radiosità, anche i rifugi sicuri delle oasi ombrose di boschi e di foreste.
Noi che sotto questa vita marciamo ordinati in attesa della terra promessa.
Noi che sogniamo brumose isole evanescenti e lontane ma sostiamo, come sosta il goffo Albatros, su navi odorose di promesse, con quella possibilità di raggiungere il nostro personale eden.
Un eterno vagare, un eterno gemere alla luna i nostri sogni mancati. Quell’incapacità di osservare non solo la meta che brilla lontano, ma il viaggio stesso e le sue incantevoli oscurità, fa di noi esseri fragili bisognosi, forse, di un sorso di aria pura.
E la poesia è questo.
E’ immensità a portata di parola, è il verso ripetuto all’infinito come un mantra capace di liberarci dalle nostre prigioni.
E’ il tormento e al tempo spesso la spinta a muoverci in direzioni sempre diverse, affinché quel sole che continua a splendere glorioso, non ci renda terreni aridi.
La poesia, specie in Valentina, è pioggia soave, seppur capace di inondare di dolore le nostra labbra.
Eppure ne abbiamo bisogno, un bisogno sfrenato e ossessivo.
Abbiamo bisogno di quelle parole taglienti che colano sangue ma quel sangue che ci rende meravigliosamente e dannatamente vivi:
Un calore lieve sveglia i miei sensi
oramai arresi alla notte.
Mi avvicino
c’è un fuoco
che arde
e si spegne,
fulmineo.
Cenere su cenere,
inchiostro su inchiostro,
il buio
caliginoso
muore due volte.
Frasi, aggettivi ripetuti con armonico ritmo, immagini fuggevoli scorci di un qualcosa di oscuro e di celato alla vista, il mistero di essere donna:
signora bambina
gioco a fare la donna
con tutte le mie incertezze.
Madre prodigiosa
e vulnerabile innocente
accendo ceri
candele
e fuochi fatui
per tutti i ricoveri d’urgenza di questo cuore pazzo.
Il mistero dell’amore che non è soltanto volontà di interagire con l’altro ma sopratutto voglia intensa di eliminare ogni maschera per trovarsi nudi e fragili di fronte all’incanto acuminato di quella spinosa rosa:
Spine che trafiggono carcasse vuote
non indulgono
e cambiano subito
Noi siamo paragonati nella nostra assoluta ricerca della perfezione dell’attimo eroico, allo stesso Orfeo che vive di illusione, che ama l’amore eppure non riesce a fissarne il volto se non a costo di farlo dissolvere.
E’ nell’incanto del sognato e persino del dolore immaginato che si nasconde la forza catartica delle suggestioni poetiche, che da quell’emozione si diramano
feci come Orfeo,
mi girai.
Non cercavo l’amore
ma ciò che sono stata,
delicata,
controllavo fossi ancora lì, premurosa,
E allora non è la fisicità dell’atto incontro a interessare la poetica di Valentina, ma la possibilità e la forza che questo momento scatena dentro di noi, la capacità di mordere e succhiare tutta la vita che scorre attorno a noi fluida come un fiume impetuoso
Correndo
non mi sono più fermata.
E ho invocato tanti cieli,
tutte le libellule in bottiglia sono state liberate
e i venti che spostavano,
le loro magre ali,
sono tornati a fare sbattere finestre
come schiaffi su guance immacolate.
Continuavo a correre
e quando perdevo il fiato
morivo correndo
dannata
per tutto l’amore ricevuto.
Tormento fragile è il diario di un anima, di ogni anima che desidera bearsi non della materialità concreta, ma della sensazione, della suggestione che dall’oggetto divine verso eterno e pertanto incorruttibile
In quel tempio
di fiamme assassine
che hanno antenati nel sangue, è il tuo tormento fragile
che resta.
Fragili come noi, esseri intessuti di mille strani e arcani fili.
Fragile come quel sogno chiamato uomo