“La bocca di leone” di Caterina Edwards, Les Flaneurs Edizioni. A cura di Barbara Anderson

Bianca è una scrittrice che vive da sempre in bilico tra i due mondi che l’hanno formata: da un lato il Canada delle terre sconfinate, del clima estremo e della modernità, dall’altro la decadente Venezia perduta, ma cristallizzata nel ricordo e personificata nella figura del cugino Marco, sogno d’amore irraggiungibile. Alla notizia del ricovero di quest’ultimo per un crollo psichico, Bianca prova ad aiutarlo con l’unico mezzo a sua disposizione, la scrittura, ripercorrendone la storia – quella di un architetto insoddisfatto, un marito infelice, un padre pervaso dal senso di colpa, un uomo dai profondi ideali costretto tuttavia a violarli – e alternandola con la propria. Tra la Venezia degli anni Settanta e il Canada degli anni Sessanta, emerge così l’affresco nostalgico di un’anima alla ricerca di identità, di appartenenza e di un luogo da poter chiamare “casa”.

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Questa volta mi son ritrovata tra le mani una lettura complessa, complessa come forma, come narrazione, ma complessa anche dal punto di vista emotivo.

Un romanzo scritto oltre 40 anni fa eppure dai temi così attuali, intensi e complessi che mi hanno assolutamente assorbita nella lettura.

Chi meglio di me avrebbe potuto identificarsi nella protagonista di questa storia? Anche io come lei sono un’italiana emigrata all’estero ormai da molti anni, anche io vivo sospesa tra i ricordi nostalgici del mio Paese e la realtà del Paese e della cultura che ormai ho fatto mia, il luogo che io chiamo casa.

Le mie due case, quella dei ricordi e quella della mia vita ora.

Immedesimarmi in ogni emozione della protagonista, in ogni spasmodico desiderio di provare a se stessa di essere legata alla nuova terra senza perdere il legame con la sua terra di origine è stato forte, intenso profondo e sofferto.

Questo romanzo è un romanzo fortemente introspettivo, poliedrico, la necessità della narratrice di voler far parte ancora della madrepatria e la sua consapevolezza di non farne più parte se non nei ricordi e nel cuore.

L’autrice traduce la realtà italiana e in particolar modo quella della sua Venezia ai canadesi  facendo così da mediatrice culturaletra due mondi così diversi, tra due realtà distanti.

In una narrazione genuina e autentica, ricca di valori, di sentimento che il lettore percepisce dentro la sua stessa pelle. 

Tra ricordi d’infanzia ci trasmette tutta la sua inquietudine.

In una lettera della sua famiglia in Italia a Venezia viene a sapere della condizione di salute mentale di suo cugino Marco, architetto di sani principi morali che si troverà costretto a violare provocando una crisi psichica che lo porterà al ricovero in ospedale. Bianca dal Canada sente la necessità di aiutare suo cugino, ma è impotente come tutti coloro che vivono con un oceano di separazione dai propri affetti e allora fa quello che sa fare meglio ed è scrivere la storia di Marco, scrivere per cercare di capire le cause di questo suo crollo ma inconsciamente Bianca vedrà in Marco l’emblema della sua Venezia; cercando di aiutare suo cugino, forse trova il modo di aiutare anche se stessa.

Ed ecco che con delicatezza ma autenticità Bianca ci mostra la sua esperienza di integrazione nel suo paese ospitante, il Canada.

Cercherà di fare luce sulle ombre del passato di Marco, ripercorrendo la sua vita e i suoi ricordi.

Bianca si trasforma in ciò che crede di  saper fare meglio, in una creatrice di ordine e forgiatrice di confini.

L’autrice ci mostra una contemporaneità nel suo narrare utilizzando anche la doppia lingua italiana e inglese proprio per accentuare il modo in cui l’emigrato italiano diventa una voce a metà: due lingue, due vite, due culture sociali diverse.

In questa narrazione doppia tra le parole di Bianca e i suoi racconti della memoria, e la vita di Marco, dove lo vedremo insoddisfatto, infelice, intrappolato in un matrimonio ormai alla fine, tra le preoccupazioni per il figlio malato di una patologia cardiaca congenita che aggiunge tensioni, sensi di colpa ed inadeguatezza alla sua esistenza. 

In un periodo storico per l’Italia complesso nel periodo degli anni di piombo, tra corruzione edilizia, tra lotte tra borghesi e proletari, la sua  vita vacilla in bilico tra la  delusione, la depressione e il crollo psicologico.

Risalendo a un trauma infantile da dove forse tutto sembra avere origine.

Bianca cercherà di mostrarci la sua Venezia  attraverso gli occhi della memoria. Un romanzo che ha multiple sfaccettature; il thriller, lo studio sociale italiano e canadese, un ritratto della Venezia e un racconto fortemente autoriflessivo.

Io ho vissuto ogni parola nostalgica della protagonista, la nostalgia che come dicono Sedikides e Baden è un emozione sia negativa che positiva che può anche essere una malattia, o una strategia per fronteggiare, reagire, resistere, gestire la solitudine.

La nostalgia è quel dolore immenso che si prova attraverso la memoria del nostro passato. 

Molti emigrati all’estero pensano e sognano il loro ritorno in patria pur sapendo che le circostanze di vita dei due Paesi non renderanno possibile quel rimpatrio. 

Io non ho mai pensato di voler tornare in Italia, non la sento più casa mia eppure la sento ancora molto mia. 

Difficile spiegarlo a chi non ha vissuto un’esperienza di emigrazione, a chi non ha dovuto abbandonare tutto per seguire un sogno, un futuro migliore condannando se stesso a vivere nel limbo della nostalgia.

In questo romanzo comprenderemo come i ricordi del passato ci diano l’indicazione verso la strada del nostro futuro.

In questa “emozione sociale” io sono la protagonista di questa storia, con i miei affetti, i miei legami, i miei ricordi, quella connessione del il mio passato al mio presente che marca il confine di continuità della mia esistenza.

Attraverso i racconti di Bianca vivremo la bellezza di Venezia, la sua decadenza, il suo abbandono.

Bianca attraverso la scrittura di questa storia esorcizza la sua memoria di Venezia, le farà bene.

Chi come me ha la doppia cittadinanza sa che vivrà per tutta la vita a metà. Io qui sono l’Italiana, in Italia io sono una straniera, quella che ha in un certo senso tradito il suo Paese abbandonandolo. Invece fu proprio per amore che me ne andai; perché mi faceva male, molto male, vedere il Paese che amo e che ho nel cuore venire distrutto da governi sbagliati, da corruzione, da lotte politiche e sociali, andandomene mi sono evitata di vederne la decadenza e ovvio mi sono privata anche di poter assistere al suo rifiorire rigogliosa come un tempo.

Come dice Bianca io non so più scrivere in italiano e voi non sapete leggere l’inglese; così queste mie parole non verranno mai comprese.

Veramente un libro importante.

Bello.

Le bocche di leone a Venezia erano delle speciali cassette inserite nei muri allo scopo di raccogliere le denunce segrete destinate ai magistrati.

Così questo libro è una denuncia, una denuncia sociale, nostalgica, importante, di un Italia di 40 anni fa e quella di oggi dove molti giovani sono costretti a fare la valigia e ad andare via e molti altri invece avranno solo il coraggio di restare. Nessuno ne esce vincitore. Tutti soffriranno della stessa nostalgia.

Lettura complessa, intelligente e toccante, di quelle letture che sono una rarità di cui dover fare tesoro.

Un pensiero su ““La bocca di leone” di Caterina Edwards, Les Flaneurs Edizioni. A cura di Barbara Anderson

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