“La dannata” di Luigi Quarta Colosso, Scatole Parlanti. A cura Gaia Puccinelli

Molte volte ci chiediamo cosa si nasconda dietro le leggende popolari, dietro quei racconti che scavalcano il tempo trasportati, generazione dopo generazione, di bocca in bocca, fino a che l’invenzione sfuma nella realtà e non si è più in grado di distinguere ciò che è veramente successo e ciò che invece è stato aggiunto pezzetto dopo pezzetto.

Questa leggenda vuole spiegare il nome di un luogo iconico del comune di Nardò, nel Salento, la Rupe della Dannata, un nome misterioso che evoca malinconia ma anche rabbia, quasi disperazione, proprio come la storia che ci racconta Luigi Quarta Colosso nel suo romanzo.

I protagonisti sono Marta e Salvatore, due giovani innamorati intenti a corteggiarsi in segreto, mentre devono affrontare le angherie del proprietario terriero e dei suoi caporali incaricati di mantenere l’ordine e di far andare avanti il lavoro dei campi senza nessun riguardo per chi passava tutto il giorno chino con le mani nella terra senza poi poterne godere i frutti; Marta poi tornava a casa ad affrontare la violenza domestica del padre alcolizzato che si scagliava di volta in volta contro sua madre o contro lei e sua sorella, mentre Salvo una famiglia non la aveva, era un pescatore e questo lo rendeva più libero, ma allo stesso tempo non aveva niente da offrire in cambio della mano di Marta.

Dopo svariate peripezie tra cui: naufragi, violenze, scandali e persino un omicidio, sembra che il paese di Santa Caterina possa tirare un respiro di sollievo e con lui i due innamorati che finalmente convolano a nozze e niente potrebbe turbare la loro felicità, tranne la comparsa del Barone Tondi D’Arneo pronto a reclamare per sé lo Ius primae noctis, trasformando il sogno in incubo che si conclude sulla cima della Rupe della Dannata.

Senza nulla togliere ai due protagonisti, dall’arco evolutivo comunque interessante, il personaggio di maggiore successo è Santina, la sorella minore di Marta, che tutti reputano folle, ma dotata di una sensibilità tanto pungente da sembrare quasi preveggenza, come se fosse in contatto con un’altra dimensione a cui riesce ad accedere grazie a dei rituali popolari, portati avanti dalle donne del paese a ritmo della tarantella.

Lo stile narrativo è veloce e lineare, guida il lettore alla scoperta di un mondo che a volta sembriamo aver dimenticato, alla scoperta di radici che sono più vicine di quanto immaginiamo e al dolore che si nasconde in bella vista nei luoghi a noi più familiari.

Ma è una voce che guida senza giudicare, senza puntare il dito, con la dolcezza tipica delle leggende mescolata alla concretezza della realtà, creando un ibrido per cui risulta difficile distinguere i confini dell’una e dell’altra.

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