“5 passi nel parco” di Thya B. Wood. A cura di Alessandra Micheli

Quando ho Thya mi ha contattato sono rimasta subito conquistata dalla sua gentilezza, rara negli scrittori cosiddetti esordienti.

Forse perché cosi pieni di entusiasmo, tanto entusiasmo che trabocca come un fiume in piena.

Un fiume che a volte ti inonda con delicatezza, altre volte con irruenza.

E oramai che ho una certa età e che forse sono molto più paziente (capito Anderson?) guardo con distacco dolce-amaro quella loro voglia di farsi strada, una voglia che può anche essere pericolosa e sfociare in una sorta di auto-celebrazione.

Thya no.

Nelle sue parole, scritte con una notevole grazia e umiltà si notava soltanto un grande amore per la scrittura.

E una voglia di capire se il suo lavoro fosse non soltanto valido quanto capace di entrare dentro le ossa del lettore.

Perché di thriller e ne sono tantissimi, a volte troppi.

Il mercato ne è saturo, tanto che persino negli affezionati esiste un po’ di disillusione e quella voglia di trovare qualcosa di diverso anche se non si sa dare una definizione valida di diverso.

Cosa cerchiamo noi lettori e noi blogger?

E’ difficile dirlo.

Non sappiamo se si tratti di trama o di personaggi, di novità o di un’originalità lontana come una chimera.

Da parte mia io so cosa cerco mio lettore.

Io cerco il rumore.

Si, avete capito bene.

Proprio il rumore tanto esecrato nelle teorie della comunicazione, tutto quello che non rientra nelle intenzioni consce del messaggio, quello che viene definito come interferenza, scoria e residuo illogico.

Nella storia io devo trovare tutto questo mondo nascosto, questo materiale che viene risucchiato dal buco nero, cimitero delle stelle.

E’ quella forza che va oltre la parola intenzionale e il significato che l’autore decide di inserire nel testo che mi convince, mi emoziona e mi conquista.

E Thya ha la sua “sporcatura”.

Che non è affatto un termine negativo.

Ma che significa soltanto che, quando scriveva, qualcosa scendeva direttamente dal mondo dell’iperuranio e usava quella sua penna e la sua mano tremante, come un tramite.

Thya ha scritto perché il mondo delle idee aveva bisogno di lei.

E cosi abbiamo una ricerca, non soltanto della verità o della giustizia, ma persino della propria identità.

In un cotesto orribile, tragico e anche, purtroppo aggiungo, attuale, l’omicidio diventa anche quasi una questione psicologica a morire non è soltanto un altro essere umano, ma addirittura un mondo e un passato.

Tanto che dietro l’indagine esiste qualcosa che non oso definire come percorso di crescita tipico di certe favole oscure e macabre.

E’ un iniziazione, in cui tutto il mondo conosciuto e sicuro deve essere totalmente distrutto, affinché ogni protagonista della vicenda possa ottenere un nuovo volto, un nuovo nome e una nuova identità.

Questo lato profondo e oserei dire interiore, conquista sin da subito.

La penna di Thya scivola leggere a volte un po’ acerba, ma sicuramente sicura del lavoro che sta compiendo.

Forse proprio perché non mira tanto a sedurre il lettore, quanto a raccontare.

E nel racconto intreccia vicende e indizi, descrizioni crude quanto basta e funzionali alle sue intenzioni: quelle non tanto di catturare l’attenzione di chi legge, quando di distruggere quel contesto idilliaco e appartenerete normale che ci appare all’inizio.

E il contrasto tra una Chicago piena di vita, piena di fermenti, di amori nati, di conquiste e di speranze, la morte diventa una lama acuminata che infrange il bozzolo della sicurezza di questo mondo e ne tira fuori il lato nascosto, il degrado, la disperazione, l’orrore della perdita, la verità dietro la bugia, il marcio sotto il tappeto elegante della casta media.

Ecco che Marla, ,a protagonista è al tempo stesso immagine di una città definita e descritta, ma al tempo stesso immagine di altre mille diverse città con la stressa voragine di male che si apre quando pensiamo di essere sicuri e intoccabili.

Nulla può salvarci dal più bieco degli istinti umano.

Nulla può essere davvero nascosto alla vista della coscienza.

Marla lo sa.

E ne farà le spese.

E in quella discesa verso l’inferno forse troverà la sua vera rinascita.

I tasselli andranno a posto e lei potrà davvero scegliere chi essere, una volta risolto il sanguinoso enigma: chi è che semina morte al Lincoln Park?

Una penna molto ben definita quella di Thya capace di farci dimenticare piccole sbavature caratteristiche dei primi libri.

Eppure convince, oh se convince.

E dimostra un indubbio talento da coltivare.

Spero di rileggerti ancora, perché voglio vederti brillare nel firmamento dei grandi maestri del thriller.

Sogno di vedere il tuo nome accostato a grandi maestri come Bryndza, Charlotte Link e Angela Marsons.

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