“Nascosti dal mondo” di J.W.Kilhey, Triskell edizioni. A cura di Jessica Dichiara

Può un pianoforte con la sua musica tranquilla e allo stesso tempo potente, un canto di Natale, risvegliare fantasmi sopiti nel cuore e nella mente di un uomo?

È un romanzo in cui bisogna entrare con l’accortezza del silenzio perché le strade che alla fine riusciranno a intrecciarsi saranno da principio molto distanti tra loro, separate dal tempo, dalla cultura e dai desideri.

Personaggi forti e tormentati calcano la scena, la storia e la realtà tappezzata di incubi, di delusione e strazio. Vi confesso che non è stato facile affrontare la lettura pervasa di una sofferenza che a tratti mi è parsa soffocante.

Un passato in cui troviamo Kurt Fournier ad accompagnarci negli anni tra il 1941 e il 1945, dentro la Seconda Guerra Mondiale e un presente che vede John Oakes, uno studente universitario, prendersi la scena.

Kurt è un musicista talentuoso, un artista. Sono convinta che gli artisti abbiano per loro natura una capacità di amare diversa rispetto agli altri esseri umani. È come se questo sentimento riuscisse a toccare in loro corde irraggiungibili per gli altri.

L’anima di un musicista è plasmata sullo strumento, si coordina con lo strumento stesso fino a diventare un tutt’uno con le note, con la melodia.

Dentro queste note e questa melodia si concentrano i battiti del cuore che, sordo al destino, si rende disponibile ai sentimenti forti, vissuti spesso in maniera totalizzante.

John ha un passato da veterano per l’esercito americano, un passato che lo rende vittima di incubi e allucinazioni che sembrano non smettere mai di tormentarlo, di affliggerlo, di condizionarlo nella quotidianità.

La guerra non c’è più, ma per chi l’ha vissuta è impossibile farla sparire con un colpo di spugna. Non si può tornare indietro e cancellare la memoria di odori e suoni che rimbalzano senza sosta nel cuore di chi all’apparenza è sopravvissuto.

Le lacrime scenderanno senza che voi possiate fare nulla per fermarle e saranno lacrime di tristezza, ma anche di liberazione, di pace, di solidarietà.

Non si può non essere solidali con chi ha assistito impotente alla propria e altrui umiliazione, alla violazione di ogni diritto che ci rende umani degni di appartenere ad una specie evoluta e decantata. Umani che si credono a volte onnipotenti per poi rivelarsi viscidi vermi.

La vita va avanti con e senza Kurt, con e senza John, con e senza me. Nessuno è indispensabile alla vita, nulla, se non il tempo. Alla vita non importa del blocco immaginario che impedisce il movimento, che soffoca, che affossa le menti.

La memoria però ci riporta sempre al presente in cui siamo sopravvissuti e con vergogna ci obbliga a un’attività che oggi troppo spesso sottovalutiamo: il pensiero.

L’amore. La violenza, gli abusi, i soprusi, le torture fisiche e quelle ancor più agghiaccianti che coinvolgono la psiche e la devastano, l’odio. I triangoli rosa. L’amore. Ancora l’amore.

Questi sono i temi che mi vengono in mente se penso a ciò che ho appena letto.

I triangoli rosa, lo scoprirete leggendo, sono forse quelli di cui si è meno scritto e meno parlato. Sono scomodi, perché chiamano in causa un odio che è ancora vivo e si sente, si percepisce, si può riconoscere nei volti che ogni giorno si abbassano o peggio si voltano schifati.

Forse un giorno l’uomo smetterà di dipingere triangoli colorati sulla pelle di un altro uomo. Forse un giorno basterà guardarsi negli occhi per riconoscersi più umani. Un giorno.

Ma non oggi.

Leggetelo, leggetelo, leggetelo e fatelo leggere ai vostri figli se ne avete.

Ringrazio di cuore l’autrice per la sensibilità dimostrata davanti al tema trattato e la traduttrice per aver reso le parole carne, lacrime e sangue.

Grazie.

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