Ragazza numero A-7807, Sara Leibovits – Eti Elboim, Newton Compton Editori. A cura di Barbara Anderson

Quanto è importante la memoria?

Con la memoria abbiamo la possibilità di recuperare i ricordi e le emozioni del passato per una piena consapevolezza di noi stessi e una maggiore centratura del presente.

I ricordi sono essenziali, appartengono alla storia personale e individuale della nostra famiglia, del popolo a cui apparteniamo; si spingono fino alla radice della nostra esistenza e in questo loro entrare nelle profondità della nostra anima, della nostra vita, della nostra storia, c’è il segreto della loro forza che ci trascina verso il futuro.

Ricordare il passato serve, è essenziale e fondamentale per poter individuare il male che si cela nella nostra società.

I ricordi, quelli positivi, quelli belli e piacevoli ci aiutano a equilibrare e a farci sentire protetti.

La memoria è fondamentale per non commettere errori pregressi; la memoria è necessaria affinché determinate situazioni vengano prevenute. 

Inutile negarlo, ciò che è accaduto in passato è nato sotto gli occhi del mondo che è rimasto in silenzio. Le discriminazioni sociali, raziali, religiose non hanno cessato di esistere dopo l’olocausto anzi continuano anche ai nostri giorni radicandosi con subdola violenza nella nostra cultura moderna.

Il male è una scelta e così come l’umanità ha la possibilità di scegliere il male, di commettere crimini orribili, ha anche la possibilità di preferire il bene, di intervenire, di bloccare anche il minimo accenno a qualsiasi forma di discriminazione, di selezione razziale, di abuso morale, fisico, psicologico.

Il rispetto dei diritti umani deve continuare nel futuro senza mai essere messo in discussione, in pericolo o in gioco.

Non possiamo permetterci di archiviare ciò che è accaduto durante l’olocausto, non ci deve essere permesso, né concesso di dimenticare.

Il male è subdolo e insidioso, si annida nel cuore e nella testa, nelle ideologie degli uomini e crea crimini verso l’umanità stessa. 

A oggi rivolgendo lo sguardo al passato non possiamo fingere di non vedere, non possiamo voltare lo sguardo altrove, non possiamo fingere che non sia mai accaduto o avere la certezza che un orrore del genere non si ripeterà più perché ciò che è accaduto potrebbe accadere ancora in qualsiasi parte del mondo.

Chi ci parla ancora oggi di ciò che è accaduto durante la seconda guerra mondiale nei campi di Auschwitz? I documenti, le fotografie, alcuni filmati di repertorio, immagini in bianco e nero che sembrano quasi irreali per quanto terribili e assurde inconcepibili e inammissibili.

Ci sono ancora le parole dei sopravvissuti, di coloro che ce l’hanno fatta, ma quando scomparirà l’ultimo sopravvissuto dell’olocausto cosa accadrà alla memoria?

Ci saranno le seconde generazioni, quelle dei loro figli, sì perché il ruolo di figli dei sopravvissuti è un ruolo doloroso e importante, non è facile essere uno dei sopravvissuti ma ancora più difficile è essere un figlio di sopravvissuti, sentire il peso della sofferenza del proprio genitore, porsi domande, voler conoscere risposte e dettagli ma avere paura che fare domande possa riaccendere un dolore al nostro genitore, un dolore insopportabile che non si dimentica ma di cui a volte non si riesce nemmeno a parlare.

Anni fa’ ricordo uno dei miei figli che aveva 4 anni, vedendo il mio tatuaggio sul polso, believe, mi chiese che cosa significasse.

Spiegare a mia figlia che quel tatuaggio rappresenta la parola credere, non arrendersi mai, avere fede e che è un tatuaggio che avevo fatto dopo che lei, la mia quarta figlia era venuta alla luce, perdendo prima di lei ben 6 piccoli angeli senza mai smettere di crederci e alla fine avevo di nuovo lei, il frutto dei miei sogni, dei miei desideri, delle preghiere e delle mie speranze.

Oggi guarda il mio tatuaggio e a volte ne disegna i contorni sorridendo poiché sa che lo avevo fatto per lei.

Immaginate invece di dover spiegare a vostro figlio cosa significa quel numero sul braccio, quel codice, quel marchio e dover cercare di spiegare tutto il male subito, tutta la dignità perduta, tutte le lotte per la sopravvivenza, il vacillare della propria fede e l’abbandono a volte perfino della speranza. Non è facile essere genitore, non è semplice essere figlio e ancora meno semplice quando sulla nostra pelle c’è il marchio di uno dei periodi storici più sicuri e maligni della storia dell’umanità.

I figli dei sopravvissuti hanno addosso un’eredità importante, dai superstiti si eredita la volontà e la necessità di sapere di più. (D. Habib Ortona)

Il romanzo di oggi racchiude questa meravigliosa pesante eredità, è un romanzo delicato e brutale che parla di amore, di fede, di speranza e di coraggio.

Sara, una delle autrici, è l’unica superstite dei campi di concentramento di Auschwitz di tutta la sua famiglia.

Sara e sua figlia raccontano la loro storia in un gap di oltre 70 anni in cui la memoria dell’anziana donna si intreccia con le domande di Eti, con le sue riflessioni, con la sua ricerca di risposte, di verità, di domande che si ha timore di fare ma anche di quella voglia di conoscere e sapere tutto ciò che non bisognerebbe dimenticare, anche se a volte dimenticare potrebbe farci sentire meglio, ma dimenticare non è un’opzione quando si deve impartire una lezione non solo a un figlio ma al mondo intero.

Attraverso una narrazione che si alterna tra Sara e sua figlia, attraverso i ricordi, le emozioni, i sentimenti e il coraggio; leggendo scopriamo ciò che rende queste donne così speciali, così importanti, così forti.

Per sopravvivere bisogna fare di tutto anche l’impossibile.

Sara con la sua memoria mette a nudo la sua storia, la sua vita, quella della sua famiglia, del suo popolo e insieme a sua figlia fanno sì che al mondo non sia permesso dimenticare nulla di ciò che è accaduto.

Un romanzo che è diverso da molti altri che ho letto sull’argomento poiché entra nel personale, nell’intimo di questa ragazzina e in quello della seconda generazione: attraverso sua figlia.

Una ragazzina sola, divisa dai suoi genitori, dai suoi fratelli, che si ritrova nell’inferno nel momento in cui si è soli e abbattuti per tutto ciò che ci è stato strappato via: la libertà, la dignità, la famiglia, gli affetti. la vita rubata, vita che ci fanno credere di non meritare nemmeno più.

Una lettura straziante che però raccoglie perle di speranza elargite attraverso l’esperienza di questa donna straordinaria ci racconta l’orrore provato sulla sua pelle, sulle persone con cui ha condiviso la sofferenza, il duro lavoro, lo sfruttamento, l’abuso fisico e psicologico.

Ci racconta anche l’amore: l’amore di un padre, l’amore di una ragazzina per i più fragili, per i più deboli, l’amore per le generazioni future alle quali ancora oggi dedica conferenze per raccontare la sua esperienza; per riportare in vita quelle sue memorie necessarie a chi non era presente, a chi grazie al cielo non ha dovuto vivere qualcosa per cui morire era l’unica liberazione e l’unica speranza.

Nonostante i suoi racconti ella stessa dice che ci sono cose che non racconterà mai a sua figlia perché l’orrore è insostenibile e in qualche modo seppur la memoria è necessaria alcune situazioni ed esperienze vissute vanno tenute lontano da chi vogliamo tutelare e proteggere. Sapere delle sofferenze di una persona che amiamo non deve far crescere in noi l’odio, la rabbia, il desiderio di vendetta. 

Quanto è forte la volontà umana di sopravvivere?

Come si fa a non cedere, a non soccombere al male?

Bisogna aggrapparsi alla speranza di potercela fare, ma come si fa a conservare la fede in Dio lì, in quel luogo dove sembra esistere solo il demonio?

Sara non solo è sopravvissuta, è riuscita ad avere una sua famiglia, dei figli, dei nipoti e dei pronipoti. 

Dio si è ricordato di lei, dimenticandosi di chi non ce l’ha fatta?

No, Dio non ha mai smesso di esserci, non nel cuore di Sara.

Il male non si combatte con il male ma con l’amore. 

I sacrifici di suo padre che le ha sempre dato la forza di andare avanti sono stati di una bellezza devastante.

Il mio cuore ha sofferto per tutta la lettura, ma ha gioito e ammirato la resilienza di questa bambina, di questa donna che diventa un eroe che sa di aver attraversato la morte più volte ma che non si è mai spezzata alle volontà del male.

L’amore nel suo cuore era immenso ed è stato quello e la sua fede nelle persone che ha conosciuto all’interno dei campi di concentramento che le hanno dato la forza di non mollare, di non permettere a nulla di fermare la sua corsa verso la libertà; una libertà che si è trascinata dietro con un’eredità di ricordi, di eventi da divulgare ai posteri.

La bellezza, nei dettagli, e che non avevo mai letto precedentemente, dei soldati sovietici nel momento in cui liberarono i prigionieri che non rimasero fermi e immobili, traumatizzati dagli orrori che si trovavano davanti: corpi emaciati, scavati nelle ossa. I soldati sovietici non sono scappati, sono corsi all’interno di quei campi per accogliere, soccorrere e sostenere i prigionieri. Quei superstiti al limite tra la vita e la morte, traumatizzati dalla fame, dagli abusi e dagli orrori.

Una storia davvero bella che ci mostra quanto il male sia impotente nei confronti dell’amore, quanto sia importante capire che il passato bisogna affrontarlo, guardarlo negli occhi e riconoscerlo per poter andare avanti.

Tra le parole di Sara e di sua figlia Eti si imprime sulla nostra pelle la memoria; quel bene prezioso che ci permetterà forse di riconoscere un errore prima di arrivare a commetterlo.

Potente, forte, devastante.

27 gennaio 1945 fu il giorno in cui l’esercito sovietico entrò nel campo di Auschwitz scoprendo e rivelando al mondo l’orrore. 

Il 27 gennaio è il giorno della memoria, una ricorrenza internazionale per chi sa che non si può dimenticare.

Se questo è un uomo

Voi che vivete sicuri
nelle vostre tiepide case,
voi che trovate tornando a sera
il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo
che lavora nel fango
che non conosce pace
che lotta per mezzo pane
che muore per un sì o per un no.
Considerate se questa è una donna,
senza capelli e senza nome
senza più forza di ricordare
vuoti gli occhi e freddo il grembo
come una rana d’inverno.
Meditate che questo è stato:
vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
stando in casa andando per via,
coricandovi, alzandovi.
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
la malattia vi impedisca,
i vostri nati torcano il viso da voi
.

 Primo Levi


Devo trovare la forza e il coraggio di raccontare a mia figlia che gli esseri umani sono malvagi, che il male è ovunque e da sempre una minaccia e che è nel bene che dobbiamo trovare la forza di andare avanti con generosità, altruismo, empatia, compassione e amore.

Non oso immaginare le difficoltà di Sara di insegnare a sua figlia che di tutto questo orrore lei è stata una delle protagoniste, una delle vittime di quelle che alla fine hanno avuto la fortuna di sopravvivere.

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