“L’ultimo rintocco” di Diego Pitea, Altrevoci editore. A cura di Alessandra Micheli

Gioca con la trama Pitea, con una rara abilità da funambulo, atta a sedurre e strabiliare il lettore.

Nell’ultimo rintocco nulla è come sembra.

All’inizio del viaggio si presenta come un giallo, caratterizzato da un puro egocentrismo del suo protagonista, intelligente fino all’anormalità, pedanteria e supponenza, una sorta di meraviglioso e moderno, Poirot redivivo.

E poi…

Ecco l’ars letteraria che si manifesta ni tutta la sua potenza, annichilire la fiducia del pomposo psicologo e la nostra, con un evento non solo traumatico, ma perturbante.

E cosi che inizia il libro l’ultimo rintocco.

La paura più grande di ogni amante del genere viene messa un piatto d’argento e il binomio classico investigatore / carnefice con quest’ultimo destinato all’insuccesso si stravolge.

E cosi il libro sorride a chi leggendo l’incipit si trova a dire lo so cosa accadrà.

E si trova davanti una fine che, come direbbe la nostra magica Agatha non è che l’inizio.

Il giallo vira quindi al noir più cupo dove secondo il canone il probo sostenitore del al giustizia finisce nell’abisso dei perduti.

Tutti hanno una colpa.

Chi non è stato attento ai dettagli, chi si è cullato nella falsariga della sicumera esperienza, chi per sentimenti non proprio puliti in fondo si ritrova a dover combattere con una malsana felicità per il compimento della prima parte del libro.

E non è tutto.

I protagonisti divengono estranei a una certa tendenze degli autori a descriverli come cliché mutuati da una certa propensione alla commedia dell’arte.

Cosi come il buon Poirot citato prima, vittima felice delle sue ossessioni strenuo sostenitore della superiorità tracotante dell’intelligenza logica, o come la amabile perfida Miss Marple, che fa della sua curiosità e della sua intransigenza il suo mantra privilegiato.

Ogni personaggio usato per dare vita alla scenografia del giallo e del thriller soffre di una certa mancanza di umanità.

O è cattivo e sprofondato nel vizio o è un buono a ogni costo, a cui mancano soltanto una cetra e due alucce dorate.

In fondo, non sono altro che comparse al servizio di una trama che domina e si erge trofia davanti al lettore, scavalcando ogni altro elemento dei testi.

E’ l’indagine a tener banco, a concentrare su di se l’attenzione di noi amanti del genere.

Pitea rimescola le carte e padrone dei segreti dello scrittore vero di thriller gioca e sposa le pedine rendendo non più l’indagine protagonista ma l’animo umano e precisamente un percorso dell’eroe (concedetemi il temine) che usa il dramma è l’omicidio per scavare dentro l’anima di personaggi vivi, veri e profondamente corporei.

Non è tanto la risoluzione del caso, quindi ad affascinare, ma sono le dinamiche occulte che danno vita all’azione criminosa, ma del tutto staccata dal contesto sociale in cui essa si trova a rifulgere.

Ed ecco che per dipanare la matassa Richard devo per forza diventare vittima egli stesso.

Perché per comprendere i passi che portano qualcuno a uccidere, a deturpare, a tumulare bisogna scendere non a patti ma come visitatori in quell’abisso di ossessioni, di ombre e di radici illogiche che sono alla base di ogni scellerato gesto.

Riched è psicologo.

Eppure la sua caratteristica umana lo fa essere estraneo, stranamente, alle modalità con cui la psiche elabora ogni emozione.

Lutti, dolori, persino eventi lieti, sono da una sorta di alter ego criticati, valutati e trasformati.

E’ una percezione per nulla visibile, quella che crea incubi e orrori, ma persino sogni e creatività.

Richard per ritrovare simbolicamente se stesso e la capacità di provare sentimenti, deve per forza incontrarla, farle fronte e scendere dal suo piedistallo.

E gli stessi personaggi attorno a lui compiono questa discesa nel labirinto del Minotauro, e si trovano di fronte a…se stessi.

Nudi e crudi.

Ecco perché ritengo geniale questo testo.

Perché parla di giallo e al tempo trascende il genere.

E’ un thriller ma anche un libro di formazione.

Pitea divine pertanto non solo uno scrittore. Non gioca soltanto con le tecniche letterarie e con gli arcani segreti della composizione.

E’ un demiurgo un creatore di mondi che sono paradossalmente lo specchio di quello reale.

E’ l’apprendista stregone che sperimenta e trasforma, che

Col mio cuore di matita correggerò

Gli errori fatti dal tempo

E con passo di guardiano controllerò

Che si fermi o che avanzi più lento ..

Sul manoscritto l’inchiostro sarò

E mi avrai nero su bianco

Ed è questa la magia che rende l’ultimo rintocco un libro che ammalia, che seduce e che non si fa soltanto leggere, ma vivere.

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