“O si vince o si muore” di Giorgia Turnone, Booka Book. A cura di Alessandra Micheli

Oggi si parla moltissimo di snobbismo letterario.

Lo si invoca come se fosse uno dei peggiori mali possibili.

Dividere in una catasta personale libri belli e libri brutti supera di gran lunga i peggiori istinti umani.

Nonostante la libertà oggi, venga invocata come un alibi, non bisogna mai toccarli, i libri.

Ne altre mode che divengono strumenti di affermazione personale.

Non più semplici compagni di un’esperienza che in fondo resta e deve restare personale.

Ovviamente per me quando si invoca tale diritto, il diritto alla libera espressione, significa che oltre a esercitarlo ovviamente con attenzione rispetto, bisogna anche sopportare il dissenso.

Perché in fondo, ogni nostra interpretazione del reale e di tutto ciò che lo raffigura, compresi i mezzi di socializzazione secondaria ( media, giornali, e libri) è appunto interpretazione.

È osservazione che risente della propria forma mentis, della propria cultura intesa in senso lato e delle proprie emozioni suddivise tra residui illogici e derivati logici.

E quindi si mio lettore, secondo il nostro percorso mentale, secondo le nostra mappatura esisteranno sempre cose di serie A e B, intendendo con questo ovviamente una sorta di gerarchia che dipende dal bisogno in essere della nostra mente.

Per me la letteratura di serie A è quella che mi aiuta a affrontare le mie cesure, quello iato tra ciò che posso sopportare e ciò che neanche ci provo a sopportare.

E cosi discorrendo.

L’unica nota dolente è un altra semmai.

La classificazione, metodo personale per ottenere il miglior grado di conoscenza capace di farci evolvere, non deve mai diventare rigida. Noi possiamo aver ogni mappa concettuale per orientarci, basta avere la consapevolezza batesoniana che la mappa non è mai, mai il territorio.

Se siamo coscienti di questo, possiamo usare le categorie in ogni contesto.

Esse non diventeranno mai ideologie, be scateneranno mai oziosi e quanto inutili dibattiti.

Questo ovviamente è il problema di oggi.
Non tanto la classificazione, non tanto la libertà di avere delle liste di priorità, quando ti prendere tutto sul personale, come se il preferito diventasse esso stesso un ideologia inattaccabile e da venerare come assoluta.

Noi cambiamo.

E nel cambiare strasciniamo con questo vorticoso girotondo gusti, ideali, idee, persino metodi di socializzazione e cultura.

Pertanto se uno di questi tasselli di questo puzzle cangiante diventano intoccabili e inviolabili, tutto si ferma.

Ed è la stagnazione.

Perché questa premessa?

Perché in questo saggio si affronta un tema molto interessante e oserei dire pericoloso in quanto si parla di una “moda” diventata per molti un cult che ha come rischio quello di diventare un altro assoluto.

E gli assoluti, mio lettore, sono i segni e i sintomi del rischio autoritario.
Di quale Cult sto parlando?

Del trono di spade, ovviamente.

Piccola premessa, io conosco soltanto i libri di GG. Martin.

Mia pecca è quello di non aver seguito, per problemi di scarsa attenzione, la serie TV che è stata, a quanto ho letto un enorme successo.

Seppur cosciente delle innumerevoli differenze tra la scenografia del cinema e la struttura del libro, posso però confermare che, l’autrice è stata molto brava nel trovare una linea conduttrice che relega le due versioni delle folli fantasie di Martin e del suo intento in una sorta di dimensione in cui esse non sono altro che le due facce di una stessa intenzionalità ossia di dichiarare guerra al fantasy tradizionale.

O si vince o si nuore è quindi un saggio oserei dire scritto con tutti gli elementi necessari a questo genere letterario.

Non soltanto fonti, analisi delle diverse scene e una notevole conoscenza della materia, ma anche con la sua teoria di base che, pone il trono di spade nell’universo oscuro eppure necessario della lotta contro i canoni di un genere che è diventato, suo malgrado estremamente rigido.

Mi spiego.

Il fantasy risente notevolmente dell’influsso campbelliano, ossia quello che lo pone al centro di un evoluzione umana che viene chiamata il viaggio dell’eroe.

In sostanza si tratta di un percorso umano, sociale e interiore che ha come scopo quello di rendere il fanciullo cittadino.

Semplice e banale.

L’eroe è considerato tale quando si fa portavoce e difensore degli assunti culturali su cui si basa la società.

E non soltanto quelli eterni, le verità declamata da Sant’Agostino, ma persino quelli meno nobili che molto hanno a che fare con la sopravvivenza della compagine sociale stessa.

Ogni eroe, infatti, da Superman fino a Batman seppur considerato quasi rivoluzionario in realtà assume dentro di se le istanze di ogni tempo e di ogni contesto umano, divenendo quindi il simbolo della cultura del tempo e delle sua peculiare socializzazione.

Non a caso i libri da cui tale concetto è derivato, fiabe mi6tologie e saghe folcloristiche erano ad uso e consumo della popolazione di un determinato contesto e seppur conteneva in se degli elementi validi per ogni epoca erano anche frutto di un bisogno concreto di legittimare e di mantenere il potere e struttura dello stato in cui esse nascevano e prosperavano.

Cosi ogni mitologia non è altro che materiale ad uso non solo di etnografi e di studiosi della tradizioni, ma persino di sociologi e politoligi.

Il fantasy non è altro che la ri-modernizzazione dei racconti epici di un tempo.

E cosi il percorso dell’eroe diventa lo standard in cui si mantiene viva la tradizione acquisita: il bene è rappresentato dall’eroe che difende la società, il male è la rivoluzione, il cambiamento e il caos.

Martin fa un opera di inversione molto netta: il suo non è più un eroe ma diventa persona e racchiude in se non soltanto onori ma anche difetti.

Eh si mio lettore.

Nel trono di spade ogni personaggio non è cosi facile da descrivere se si è abituati ai concetti dicotomici amico/nemico.

Martin, consapevole o no, aderisce a quella che Maria Luisa maniscalco chiama società fuzzy, in cui i ruolo sono sfumati, in cui predomina il grigio piuttosto che le tonalità oppositive.

Il potere è in fondo, descritto sia dai libri che dalla serie TV in modo molto duro e al tempo stesso profondo, una costante ricerca che presuppone dei compromessi e che al tempo stesso non suddivide nettamente il dominante dal dominato, ma come direbbe Georg Simel li fa interagire creando una sorta di interdipendenza gli uni dagli altri.

La Tumone analizzando ogni puntata e ogni stagione estrapola dalle scene proprio i concetti cardine dell’opera di Martin e li mostra al lettore con estrema e nitida chiarezza.

E cosi sviscera grazie a esempi e scene analizzata minuziosamente ogni elemento proprio di questa strana e sconvolgente poetica.

O si vince o si muore diventa, dunque, non soltanto un saggio necessario a ogni fans, ma anche a lettore medio, colui che impegnato in una diatriba valoriale senza senso, rischia di perdersi la profondità è l’attualità di ogni produzione letteraria e o cinematografica.

Serie TV, libri, giornali, pubblicità e persino slogan parlano di noi.

Del nostro oggi, del passato e del presente, di valori condivisi e di valori rifiutati, di cliché e di una sana e doverosa ribellione contro gli stessi.

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