“Delitti ai navigli” di Giancarlo Bosini, Macchione editore. A cura di Alessandra Micheli

Romba il potere che detta le regole..

Cantava cosi, in una canzone resa oramai indimenticabile da una realtà che l’ha confermata e la conferma tuttora Pierangelo Bertoli.

E quelle stesse parole sono risuonate con un rintocco lugubre durante tutta la lettura.

E’ un perfetto giallo storico quello di Bosini.

E potrei dilungarmi sul perché lo posso definire perfetto.

Tutto è armonicamente inserito lungo la trama, che si dipana con grazia e forza costringendo felicemente il lettore a divorarlo in una sola notte.

Ma non è per questo che la sua voce non mi abbandona neanche ora, che scrivendone dovrei liberar mi di una strana malia.

Bosini non si limita a inserire in un contesto neanche troppo lontano, l’avvento e il consolidamento del fascismo una rete delittuosa che deve essere rivelata, risolta per dare ristoro alle vittime.

Vedete spesso la delinquenza non è altro che un sintomo di un malessere più profondo, nato in senso a una società che noi consideriamo progredita e florida, ma che invece mostra i segni della decadenza proprio in quei tasselli che dovrebbero svanire di fronte alle dichiarazioni di forza e di orgoglio nazionale propinateci da ogni mass media.

Il malessere sociale, il crollo valoriale sono ciò che permette alla violenza di emergere.

Eruttare feroce.

Ne siamo testimoni oggi, in questi tempi che tutto rendono possibile ma che sono cosi asfissianti negando, a tutti gli effetti la soddisfazione personale di un anima assetata.

E’ stato sempre cosi.

Più ci convincono di essere privilegiati e probabilmente lo siamo, più ci incatenano, rendendoci schiavi complici e apparentemente soddisfatti del potere.

Che per ricompensare il cedimento di ogni libertà e di ogni afflato interiore ci regala benessere materiale e economico.

Come dite?

Sono la solita pessimista?

non credo sai mio lettore?

Vedi io sono convinta che avere troppe possibilità, troppe scelte, troppe seduzioni equivale a essere prigionieri.

Ebbene si.

Non propongono un ritorno al passato, ne una sorta di barbarico ritorno alle origini.

Non rinnego il benessere ottenuto, ne i progressi scientifici.

Non nego che il mondo occidentale prospero e ingordo sia mille volte migliore di un terzo mondo affamato e in preda di malattie che per noi sono ridicole.

Assolutamente no.

Ma sostengo che il benessere della “pancia” non può compensare quello dell’anima.

Che entrambi andrebbero nutriti, incoraggiati e messi come primo obiettivo di uno stato sano.

Sei capace di acquistare un i-pad, un i-phone, ma al tempo stesso internet ti isola dal mondo, dagli altri e da te stesso.

Finché ogni immagine, ogni post, ogni like, ogni foto diventa un sostituito della vita, della coscienza e della socialità.

Sei ricco, ma sei soltanto un ritocco vuoto di una campana stonata. E un paese prospero non vive di “zombie” ne di ombre.

Vive di popolo e cittadini, vive di responsabilità non soltanto di opportunità.

E se noi ci limitiamo al tira a campare, lasciando che il potere divori ogni nostro diritto, tranne quello di esistere ma non di vivere, allora il potere che noi incoscientemente nutriamo come vittime sacrificali è autoritario o peggio dittatoriale.

E cosa centra questo con il libro?

Ma mio lettore, è il senso stesso del libro.

Perché vedi nonostante noi sosteniamo che il fascismo è lontano nel tempo, sconfitto e sorpassato, neghiamo quella verità eterna che ci rende vittime di una dominazione univoca.

Il potere che romba e detta le regole, che ruba la nostra sovranità. Vedete, ciò che noi sbagliamo cosi come forse sottovalutano i protagonisti del testo, è l’etichetta che inseriamo in ogni evento o in un movimento politico.

E’ in inganno.

Perché quando noi lo rinchiudiamo in canoni prestabiliti, con coordinate precise, non combattiamo altro che il sintomo e non la malattia.

E il potere senza controllo, senza la sovranità, senza valori è la malattia.

Il fascismo, e lo osserviamo da esterni grazie al libro di Bosini, è un modo di concepire non solo lo stato ma l’uomo stesso.

Se il buon Simmel ha compreso come la vera dominazione è un rapporto interdipendente, in cui uno nutre l’altro, ogni dittatura, ogni autoritarismo spezza questa interazione.

Nasce da una richiesta dal basso ma si identifica come portatore assoluto di verità.

Come millantatore, come uomo che promette la pioggia con danza e incantesimi, in una secca giornata torride d’estate.

E in quel momento, disperati, assetati noi gli regaliamo, non deleghiamo, la nostra sovranità.

E’ questo che accade in delitti ai navigli.

Tutto è sotto gli occhi, tutto è manifesto, ma per il quieto vivere si chiudono occhi sui traffici, sulla connivenza politica e malavita, persino sulla violenza.

E ogni torto non viene affatto risarcito.

E’ tutto muto, annichilito dal non dire per poter mantenere chissà che privilegi.

Ho detto connivenza vero mio lettore?

Pensavi davvero che il nostro ggi non sia in fondo frutto di uno ieri?

Pensi davvero che questo esercizio della politica sia una novità?

Che le mazzette, il voto di scambio, le tangenti, i bossi che sono usati e usano imprenditori, sia l male moderno?

E’ questo che ci fanno credere.

Che non si tratti di un malessere di questo orrido modo di descrivere e raccontare quel patto antico tra noi, popolo ridotto a massa, e il governante di turno, arido e senza scrupoli.

E’ la malattia che emerge dalle parole scritte con una delicatezza sofferta di questo libro.

E’ il disastro annunciato.

Persino la ricerca della verità, portata avanti da un giornalista è storia di oggi, sarà, forse, storia di domani.

Ma è anche il motivo per cui, in fondo, nessuno rinuncia a combattere.

Basta un libro.

Forse una recensione, Chissà.

Basta andare oltre la trama e gli orpelli.

Andare laddove anche gli angeli esitano.

Quindi si, quello di Bosini è un libro bellissimo.

Ma attenzione è anche uno schiaffo in faccia.

Poi magari voi fingerete che sia soltanto una puntura di zanzara.

Ma io quella guancia rossa, con un impronta precisa la considero il miglior regalo che Giancarlo ci passa fare.

Perché un giorno, guardandoci allo specchio, forse, capiremo che è ciò che ci fa risvegliare.

Io ci credo ancora.

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