“Stelle nere” di Maria Letizia Grossi, Giunti Editore. A cura di Jessica Dichiara

Un nuovo giallo, la terza indagine della profiler e commissaria Valeria Bardi. Un’avventura avvincente che spazia tra Firenze e il Medio Oriente.

Già dal prologo, sei righe con indizi seminati tra il detto e lo scritto tra le righe, si intuisce che avremo a che fare con qualcosa di misterioso, cupo, affascinante. Le rovine di una città mediorientale, la dentatura frantumata delle case devastate, un giubbotto con la scritta UNICEF. Sono pronta a partire per questa nuova avventura.

Quest’autrice ha la straordinaria capacità di caratterizzare i personaggi in maniera completa. Non sempre e non in tutti i romanzi è possibile farlo, ma in questo caso Maria Letizia Grossi ci porta immediatamente dentro la trama, facendoci interagire con tutti i presenti, con i loro pregi, i loro difetti, le loro abitudini quotidiane in una sorta di spazio privilegiato dovuto in parte anche alla conoscenza dei capitoli precedenti.

In questo nuovo caso, la Bardi si troverà ad indagare sulla morte di una donna “straniera”, ritrovata immobile dentro un pullman di linea Firenze-Strada in Chianti, con occhi sbarrati verde acqua iniettati di puntini rossi.

Così la guerra, una delle tante, sempre la stessa, sempre con lo stesso odore di morte e di disperazione, entra dentro le nostre case come qualcosa di conosciuto, qualcosa che rientra nelle nostre possibilità e che non smetterà mai di farci paura.

Valeria diventa subito un’amica, una persona in cui avere fiducia, over cinquanta, alta, vitale, appassionata e capace di provare meraviglia. È grazie a lei se in tutto il romanzo in cui sicuramente i temi non sono frivoli e allegri, si respira ottimismo e positività.

Saltò la colazione, senza però rinunciare a infilarsi un paio di muffin in borsa.

Ecco, Valeria è così, dinamica, oberata di lavoro, professionista seria e stimata che ogni giorno rischia di essere travolta dal tempo e dalle responsabilità, eppure quei due muffin messi velocemente in borsa riusciamo ad immaginarli e li percepiamo come un voler esserci.

Un vivere nonostante tutto, nonostante il divorzio, la malattia della madre, una figlia complicata e quella sensazione di fallimento che appartiene alla maggior parte degli esseri umani e che ci rende fragili, insicuri, in cerca di protezione.

La vittima, Nada Hiddad, ci porta dentro una realtà che vorremmo negare. Qualcosa che non ci piace e verso cui tutti, o quasi, negli ultimi vent’anni hanno preso una posizione. Qualcosa per cui ci illudiamo ci sia una posizione da prendere.

Nada è arrivata in Italia via mare, pagando un viaggio costoso su un’imbarcazione che l’ha sbarcata in Salento. E qui inevitabilmente il romanzo si schiera dalla parte dell’umanità stimolando una riflessione dentro l’indagine che rende tutto dinamico e disteso.

Nada ha un nome solo grazie al riconoscimento di un funzionario dell’UNICEF, Alain Touran, che aiutò la donna a fuggire. Sarà proprio Alain a indicare la pista principale di questo giallo che si snoda tra sofferenza, violenza, bugie e depistaggi.

Non è assolutamente un romanzo pesante, anzi, il giallo proprio per i suoi movimenti, si presta molto a veicolare messaggi e a stimolare il pensiero, svolgendo pienamente il compito che ogni buon libro dovrebbe saper fare.

Mi sono ritrovata a vivere dentro la storia personale di Valeria, una situazione non facile da gestire eppure così intima che spesso ho avuto la sensazione di invadere la privacy di questa donna contesa tra i lavoro e problematiche familiari altrettanto forti che metterebbero alla prova chiunque.

Cosa farei io al suo posto?

È una domanda a cui vorrete e dovrete dare una risposta.

E poi l’ironia, quella fresca, intelligente, mai scontata. Quella che è necessaria sia nel lavoro che in ogni altro aspetto della vita. Quella che ci chiama a sorridere gratuitamente e ci strappa da un ricordo doloroso o da un pensiero faticoso. Quella che alleggerisce la realtà e in questo caso la lettura.

Firenze è coprotagonista del romanzo. È amata, desiderata, rincorsa. Presente nei luoghi che tutti conosciamo e nascosta nei vicoli bui. È una città vissuta che l’autrice ama far toccare nelle sue storie senza bisogno di fantasia perché Firenze è già di per sé fantastica.

Sullo sfondo un amore che combatte per nascere tra mille impegni e difficoltà, qualcosa che mi auguro evolverà nei prossimi capitoli di questa appassionante serie. Valeria dovrà decidere quanto cuore investire ancora nella sua vita e quanto mettersi ancora in gioco.

È un romanzo di confine in cui bene e male sono tratteggiati sullo sfondo di un mare di possibilità interne ed esterne alla coscienza di ciascuno di noi. Un mare in cui tutti dobbiamo imparare a nuotare per salvare, per salvarci.

Consiglio per la lettura: stavolta abbiamo bisogno di un porto e di una panchina in cui leggere con il sottofondo dell’acqua che si scontra con l’opera dell’uomo. E un caffè doppio da sorseggiare insieme a Valeria.

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