“Pentalogia weird” di Conan Doyle, Delos Digital. A cura di Alessandra Micheli

Eccomi a parlare di uno dei miei miti.

E lo so, non sono degna di nominare Sir Conan Doyle.

Figuriamoci scrivere una recensione.

Quindi eviterò di farlo e mi limiterò a raccontarvi un po’ non tanto di Li ma del mio mito rispetto a me.

Vi sembrerà bizzarro ma uno dei primi libri che ho letto di Sir non è stato Sherlock.

O no, nossignori.

Anche se Holmes ha rappresentato una parte importantissima del mio percorso da lettrice, non è stato lui a farmi innamorare di questo poliedrico autore.

E’ stata una raccolta, intitolata, udite udite Racconti del terrore e del mistero.

Capite?

Il creatore del più razionale dei detective, colui che ha sviluppato il giallo deduttivo, influenzato profondamente dal prode Dupin, si è interessato di una brusca della letteratura che molto aveva in comune con l’occultismo.

Infatti, tutti coloro che sono incappati nella seduzione dell’Altrove, qualche interesse per lo spiritismo e per l’ermetismo lo avevano.

E anche il nostro Doyle.

Tanto che le sue incursioni in quel mondo oltre il velo culminarono

nel 1926 nel saggio the history of spiritualism argomento a cui dedicò gli ultimi anni della sua vita con una indefessa attività fatta di conferenze, adornata di dotti articoli grazie ai sui contatti nientedimeno che con la Golden Dawn.

Allora perché noi conosciamo soltanto Sherlock?

Perché nonostante quel periodo chiamato vittoriano vide un revival dell’occultismo (periodo che continuerà fino al secondo dopoguerra) tale attività restava controversa, enigmatica e non aveva la stessa rassicurante ricerca del benessere borghese.

E tutt’oggi per noi, il creatore del perfetto esempio della ragione, del metodo sperimentale, dell’osservazione sul campo non riesce a staccarsi dal un certo alone di razionalità.

E non riusciamo davvero a concepire un Doyle interessato non alla scienza dimostrabile ma al regno arcano delle ombre.

Eppure è cosi.

Ed è questo binomio che in lui trovò perfetto equilibrio, quello tra pleroma e creatura, che lo rende, almeno ai miei occhi degno non solo di riverente ammirazione, ma persino di una sorta di ossessione che rasenta il fanatismo.

Sono una fans, una grupie del Sir.

Questo mi ha portato a non limitarmi alla lettura del perfetto canone sherlochiano, ma a ricercare con meticolosità ogni suo scritto.

E cosi vanto una discreta collezione che va dalla fantascienza come il modo perduto fino alla bellezza di racconti come il parassita o l’abisso di Maaracot.

Potevo, quindi lasciarmi scappare quest’ennesima raccolta?

Ovviamente no.

Anche perché qua il mio Doyle si addentra in un territorio molto diverso da quello dell’horror classico, territorio che oggi non stentiamo a definire weird.

Sfumato, agghiacciante ma al tempo stesso quasi grottesco. Fantasioso ma anche profondamente onirico.

Un questa pentalogia si ritrovano alcuni dei migliori racconti in assoluto, come l’imbuto di cuoio, il racconto dell’americano e il gatto brasiliano.

Quindi tutti voi che lo amate soltanto per il pomposo Sherlock, scoprirete un altro lato di una personalità geniale e tenuta per troppo tempo lontano dai riflettori.

Qua Conan da il meglio di se, non soltanto come artista, ma come indagatore dell’ignoto

Magiche scoperte, visioni occulte, delitti misteriosi, vendette, mostri scaturiti dagli abissi remoti della mente, popoleranno le vostre giornate colorandole forse con una tinta tetra, ma anche rivelando, cosi come spesso accade alla luna l’altro volto di un artista da troppo tempo limitato nell’ingombrante personaggio dell’investigatore Baker Street.

Sir Arthur Conan Doyle è molto altro, è uno straordinario scrittore da riscoprire.

Interamente da riscoprire

Lascia un commento