Se camminare fa troppo rumore, Giusi d’Urso, Il Ramo e la Foglia edizioni. A cura di Barbara Anderson

Ci sono letture che richiedono forza e molto coraggio, sia nello scriverle che nel riuscire a leggerle restando immobili, impassibili, inafferrabili e quando chi scrive una storia riesce a entrare nell’anima del lettore, fino a scavare nella profondità del suo io più profondo allora è impossibile non lasciarsi andare.

Questa è una lettura che ti prende e ti porta via, non lontano, non distante da tutto ciò che ci circonda ma ci avvicina a tutto ciò che più ci spaventa, che ci fa paura.

Tutto quello che è molto vicino perché lo abbiamo ancora intrappolato dentro.

Si dice che nella vita per essere felici ci vuole coraggio, ma non nel senso che bisogna essere incoscienti ma bisogna conoscersi davvero nel profondo, nei nostri fantasmi, all’interno dei nostri mostri, quelli interiori, per poter trovare la forza di superarli, di faci pace, perché sono proprio quelle le cose di cui abbiamo bisogno per superare gli ostacoli, per andare oltre.

Lo dice anche a se stessa la protagonista di questa storia, Sofia: “ci vuole coraggio” e aggiungo forza d’animo per affrontare le difficoltà della vita, cercando di mantenere integri i propri principi, l’educazione, i comportamenti civili.

Il coraggio ci aiuta a uscire dalla nostra comfort zone.

La casa, la famiglia, è il nostro porto sicuro, ma non è sempre così, non per tutti. Ci sono famiglie dove l’amore scarseggia o dove si vive nell’abuso psicologico o nella violenza fisica, spesso la disfunzione familiare ci appare normale, è tutto ciò che conosciamo, non abbiamo altri parametri di confronto e avere una casa, una mamma, un papà che ci vogliono bene a volte sembra essere tutto ciò che di bello si può avere, ma nulla è mai perfetto non come sembra.

Ognuno ha i suoi traumi nessuno ne sarà mai immune purtroppo. 

Sofia osserva il mondo da una finestra alta. Pisa, la città che non ha mai amato davvero che non l’ha mai fatta sentire veramente capita e accettata, la città bella, dalla piazza verde prato e marmo, quelle contrade che hanno ancora impregnato addosso il medioevo, il ponte di Mezzo che separa e che unisce una città piccola ma ancora colma della sua grandezza. Un contrasto tra ciò che è bello e ciò che appare sporco, forse perché quando dentro di noi c’è qualcosa che ci ferisce tutto ciò che ci circonda non ci appare né bello né piacevole e Sofia non ha un bel rapporto con questa città nel suo dialogo tra se stessa, i suoi pensieri e i suoi ricordi si percepisce sofferenza ma anche una ricerca, lo scavare a mani nude dentro le sue stesse viscere più profonde.

Sofia passa le notti con l’insonnia e con mille mila pensieri, con un’atmosfera di forte abbandono di una donna che sta cercando di fare forse pace con se stessa.

Il giorno della sua partenza dalla sua isola del sud fino a Pisa con mamma, papà e le scatole in cui dentro c’era racchiusa quasi tutta una vita, avanti, verso un futuro di nuove opportunità lasciando tutto il resto indietro.

Sofia era la ragazza venuta da lontano, quella ragazzina timida, semplice, riservata, ogni sua frase è un piccolo sussurro, un soffio d’aria sui petali di lontani ricordi. 

I ricordi felici, quelli che la felicità la indossavano anche quando erano tristi. Era sempre stata una bambina con la testa tra le nuvole, che si estraniava dal resto del mondo.

La sua prima casa con il giardino, il primo cane, il primo gatto, la bambola, il roseto.

Voleva bene a sua mamma e anche a suo padre e molte cose che vedeva non le comprendeva perché come dicono i grandi era troppo piccola per comprendere; eppure i bambini non comprendono le cose dei grandi ma ne percepiscono e ne assorbono le emozioni; i bambini osservano e incapsulano tutto ciò che accade, incamerando in meandri della memoria che li tirerà fuori più avanti durante quelle analisi introspettive che arriveranno poi insieme al diventare grandi.

Sofia era un sacco di cose: una piccola fata, un folletto chissà, forse anche una piccola strega.

Il mondo fuori la finestra sembra lontano dal mondo che ha nella sua testa… tutto appare così distante, tutto a volte sembra essere così vicino: i ricordi dei sorrisi del papà, del pane al pomodoro della nonna, delle discussioni ad alta voce, dei sussurri di sua mamma e delle lacrime nascoste dietro le pareti di una stanza.

Sofia era una bambina solitaria fino all’arrivo della sua nuova compagna di banco Filomena con cui divenne inseparabile. Con lei accanto così forte, esuberante, coraggiosa e vitale nessuno l’avrebbe mai più importunata o presa in giro, ora aveva Filomena e i suoi libri, quelli che amava, quelli che leggeva, quelli con cui viveva storie fantastiche.

Iniziano i segreti, quelli da tenere nascosti a papà perché nel contesto familiare di Sofia il patriarcato è forte, predominante, le mani alzate, la mamma a testa bassa, un uomo che lavora, un artigiano che provvede per la sua famiglia, una mamma che si occupa della casa. 

Sofia conosce anche i momenti in cui suo padre ha bisogno di stare con se stesso e quando capita che con un sorriso complice verso di lei tutto il suo diventa nostro Sofia è felice. 

Le cose della vita a volte ci appaiono distorte, anche Sofia vedeva i lividi sul volto della mamma, la faccia gonfia da un lato, un occhio pesto… le cose storte della vita che lei non riusciva a raddrizzare; le cose che venivano rotte e che papà non poteva riparare; le promesse che faceva e non manteneva.

Viviamo a volte in contesti dove ci sono anche le distorsioni cognitive e sia Filomena che suo padre avevano il pensiero dicotomico, loro vedevano il mondo in bianco e nero, dove la realtà è fatta di luce e di ombra cancellandone le sfumature; esisteva solo ciò che era giusto e ciò che era sbagliato, il buono e il cattivo, il bello e il brutto e questo portava Sofia alle distanze, alle rigidità permanenti. Una serie di limitazioni alla comprensione delle cose, una riduzione delle possibilità di scelta, un aumento della depressione, un processo di egocentrismo e così, quando non ci sono alternative, o è tutto nero o è tutto bianco, si arriva a prender perfino le distanze dalle persone, ci si allontana fisicamente, sparendo o oppure essendoci senza esserci. 

Così Sofia passeggia in quella stanza; ogni tanto guardando fuori dalla finestra. Cammina su e giù continuamente come faceva suo padre. Ma lei era identica a suo padre?

Non vuole vedere nessuno ma sente la mancanza di Filomena la sua amica del cuore, sente la mancanza della mamma, quella di suo padre.

Forse le mancava tutto ciò che pensava di avere e in realtà non aveva.

Eppure se camminare fa troppo rumore forse sarebbe meglio cominciare a volare, e così vola Sofia, attraverso la sua storia, attraverso il mondo visto con gli occhi di una bambina che da grande prova a prendere consapevolezza di se stessa e delle sue origini. 

Il disagio di Sofia non è solo fisico ma anche mentale, psicologico, e a volte le turbe psichiche restano segrete, nascoste, perché bisogna essere una famiglia perbene, alcune cose devono restare segrete. 

Nata, cresciuta e vissuta all’interno di una casa dove il modello patriarcale era il centro della sua esistenza, di figlia e di donna. Sofia deve trovare la forza di fare i conti con se stessa, di accettare l’aiuto che le viene offerto, di comprendere che tutto ciò che accade non è altro che una conseguenza di ciò che ci viene insegnato e che certi traumi restano anche quando chi li ha provocati non esiste più.

Mi sono ritrovata molto in Sofia perché nemmeno la mia famiglia era la famiglia perfetta, anche io sono stata cresciuta in una famiglia su modello patriarcale, il mio doveva essere un ruolo di donna, di figlia, di moglie, di mamma.

Anche io ho visto mia mamma con l’ombretto azzurro per coprire i lividi, anche la mia mamma mi diceva che aveva sbattuto la testa allo sportello della credenza e io sapevo che stava mentendo perché lo leggevo in quegli occhi gonfi di lacrime.

Mio padre ci amava a modo suo, in quel modo che era il modo normale, il modello su cui si basavano moltissime famiglie a quei tempi; modelli che ancora oggi continuano a esistere. Anche io come Sofia amavo mio padre ma ricordo al suo funerale avvicinandomi alla sua bara gli dissi: non potrò mai perdonarti per non essere stato il padre che meritavo.

Oggi comprendo che la colpa non era esclusivamente sua ma della società in cui viviamo, degli stereotipi, della cultura ancora medioevale per cui la donna resta sempre in una posizione inferiore rispetto all’uomo, in cui una figlia abbassa la testa mentre sua mamma si copre il volto con le mani. Quando ci sono problemi mentali che andrebbero curati e compresi e non nascosti e negati.

Ad alcuni uomini è concesso tutto anche al prezzo di distruggere tutto ciò che davvero li ama.

Una lettura forte, dove nel finale scopriremo insieme a Sofia tutta la verità della sua triste dolorosa storia. Ci vuole coraggio per assumersi e ammettere anche le proprie responsabilità.

Profondo, intenso, doloroso.

Un’autrice che ama la sua Pisa e ha utilizzato la sua città per raccontare la storia di Sofia ispirandosi al fiume nel cui corso delle acque la protagonista ha cercato più volte la direzione della propria vita.

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