“Il caso del collare dei Savoia” di Anna Maria Bonavoglia, Buendia Books. A cura di Alessandra Micheli

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Ho fatto un viaggio nella foschia densa di Torino, una caligine che non ha nulla di umano.

Non è la solita coltre di fumo industriale che avvolge ogni città che, in fondo, si nutre di un sentimento vittoriano che diventa eterno, un sentimento cosi improntata verso il futuro, cosi decisa a abbracciare la modernità e uscire dalla prova del tempo, vincente e sicura.

La sua sicumera si mischia proprio con quell’effetto vischioso che nasconde il prezzo da pagare per quella corsa sfrontata verso il successo.

Nasconde la povertà, le vite umane sacrificate sull’altare del dio denaro.

Nasconde la realtà dei tanti probi cittadini convinti di impersonare perfettamente i valori della civiltà.

Nasconde il lato oscuro e noi possiamo credere, credere fortemente, che le profferte moraleggianti dei tanti discorsi siano la realtà.

Alcuni tentano di sollevarla quella nebbia, autori come Dickens raccontano una storia diversa, meno nobile certamente, ma più vera.

Autori che affrontano la povertà morale di un paese che stentava a diventare nazione, che stentava a crescere davvero se non apparentemente a livello economico.

Baluardo della grandezza di ideali resi cenere, resi fumosi come le mille fabbriche che immolavano come agnello sacrificale un sole che mai più apparirà cosi radioso, come all’alba di ogni grande ideale.

Autori sognanti come De Amicis che, ancora, avevano la forza di credere in un destino radioso per l’ Italia.

Una patria che, lungi da diventare discarica delle peggiori perversioni europee, doveva innalzarsi a modello di virtù e di vero autentico cambiamento sociale.

E dovrebbe ancora oggi.

E cosi ogni libro davvero sociale tenta di seguire le orme dei coraggiosi autori, cosi sbeffeggiati persino da noi, oggi, che li accusiamo di pesantezza, che usiamo i personaggi nati dai bassifondi, per deridere il vittimismo.

La nebbia, autentica protagonista del mistero del collare dei Savoia, è una nebbia soprannaturale, uscita dal mondo ctonio e deciso, come ogni lato oscuro ghignante che si rispetti, a svelare più che a nascondere.

E cosi quella strana soffusa opalescenza in realtà aguzza la vista e mostra e svela il vero orrore del mondo divenuto, quasi una sorta di specchio della nostra attualità

Torino dormiva, avvolta in una coltre di nebbia gelida e malata.

Le spesse volute fumose s’intrufolavano nei vicoli oscuri e danzavano sulle acque del Po, abbracciavano i moderni lampioni a gas e striavano di nulla la collina. Il silenzio dominava la notte, ma era un “non rumore” innaturale, come se ogni cosa trattenesse il respiro per timore di rivelare a qualcuno, a qualcosa, la propria presenza.

Il male prende la forma di qualcosa di stranamente deformato, che si nutre dell’apparente sicurezza di una città divisa, come è diviso il mondo, in fortunati e sfortunati, in coloro che abbracciano il disegno pseudo divino che li fa nascere per predestinazione al successo.

E poi ci sono gli altri, i viziosi, i disperati, coloro che non hanno il benvolere di una divinità cosi crudele, affatto paterna che sceglie tra i migliori, ma non tra i probi, i propri seguaci.

Non è il dio che siamo abituati a vedere, è Mammona, l’ingannatore, colui che mischia le carte, colui che ruba la purezza dei valori, resi torbidi dalla strana volontà di sicurezza assoluta, dalla voglia di tenersi stretti i privilegi anche quando essi rendono l’aria irrespirabile e avvolta da sentori mefitici.

Manca la purezza in questa Torino cosi ricca di storia, di bellezza ma cosi incapace di metterla la primo posto, capace di imitare come uno specchio distorto la sua gemella, la Londra che lo strano indagatore rappresenterà in tutta la sua fulgida decadenza.

Anche Torino diventa cosi il vampiro sonnacchioso capace solo di succhiare le energie degli alti ideali che l’anno vista nascere.

Capace di insabbiare i misfatti, incapace di alzare lo sguardo a affrontare il fulcro del suo crollo morale.

Le retate fallivano prima ancora di iniziare: le cantine si perdevano nelle viscere della città, fino a raggiungere i cunicoli scavati dai Romani e da coloro che vissero prima ancora di loro, i passaggi segreti si susseguivano interminabili come in un gioco di scatole d’Oriente. Quando, sulla spinta dell’opinione pubblica e della derisione dei giornali, gli sbirri tentavano l’ennesima operazione, non avevano ancora finito di circondare l’isolato che già gli occupanti più ricercati del Casermone avevano preso il largo,rintanati nei loro covi sotterranei e inaccessibili

E cosi il crimine prospera tra gli ultimi, quelli relegati in una sorta di amnesia collettiva, dimenticati rendendosi cosi inevitabilmente fragili davanti la male oscuro che intacca ogni città, ogni sensazione, ogni pretesa di progresso

Di solito i quotidiani si riempivano di pagine e pagine di resoconti puntuali e ironici da parte dei giornalisti, ben lieti di attaccare le inefficienze della giustizia cittadina. Eppure, anche quelle erano finite nel dimenticatoio, come storie appartenenti a un tempo lontano e felice.

Ecco che ciò che emerge dalla nebbia diventa lo schiaffo con cui svegliare una città addormentata da qualche strano incantesimo, una città che attende il gesto eroico di qualche salvatore pronto a dimostra che, il valore cavalleresco è ancora possibile.

E anche noi oggi, fragili, terrorizzati davanti alla nostra personale nebbia, al nostro oscuro demone, aspettiamo che qualcosa si smuova dentro di noi, che una lacrima di compassione scenda dal viso e bagni questi aridi suoli.

Bellissimo, struggente, un libro che fa risorge tutti noi dalla decadenza di una modernità afflitta e rassegnata, rendendo ancora importante l’atto eroico.

Che è forse semplicemente il dire no alla seduzione dell’ingannatore.

Cosi semplice, cosi ovvio, e cosi dannatamente necessario

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