“Due spari al parco Lambro”, di Massimo Bertarelli, Fratelli Frilli Editori. A cura di Barbara Anderson

Amanti del giallo, a me gli occhi!

Seguitemi in questa avventura che vede protagonista nella sua seconda indagine il vicequestore Tomba Maselli Enrico dove i personaggi escono dalle pagine e prendono vita proprio davanti ai vostri occhi, dando la sensazione non solo di andare voi stessi nella storia e nelle indagini ma di vederle proprio saltare fuori dall’inchiostro!

Tomba Maselli è un uomo solo, che ha perduto la moglie da 5 anni, l’amore della sua vita e che ora si dedica al suo lavoro e alla sua solitudine restando aggrappato a una felicità che aveva vissuto nel passato; adagiato in un presente che lo lascia sospeso nel vuoto.

Vuoto che riempie con la sua professione a cui si dedica con passione.

Alle ore 23:15 una sera entra in un ristorantino e tra l’amarezza dei suoi ricordi e dei pensieri verso sua moglie Giorgia cerca di addentare una fetta di crostata.

All’improvviso irrompe un uomo, ferito, sanguinante e in stato di shock che gli crolla tra le braccia, giusto il tempo per Tomba di dire alla vittima di essere della polizia e alla vittima di raccontare cosa gli era accaduto.

Appartato con una prostituta africana nel Parco era stato attaccato da due uomini di colore che rubatogli il motorino lo avevano colpito alle spalle sparandogli.

Da quel momento inizia la storia e le storie raccontate dalla vittima di furto Dino Mantovani.

Tomba è intelligente, astuto, perspicace e la teoria del furto con sparatoria gli sembra eccessiva e ovviamente inizia ad andare a fondo degli eventi recandosi subito in ospedale per poter interrogare la vittima appena reduce da un intervento chirurgico importante.

Si è salvato la vita e ora è giusto che esponga i fatti per far sì che i colpevoli vengano arrestati.

Giunto in ospedale trova un muro invalicabile fatto persona: la dottoressa Grazia Bergamini, che si pone in maniera fredda scostante, stizzosa nei confronti del vicequestore.

Il suo paziente non è in condizioni di poter parlare e deve essere lasciato a riposo.

L’insistenza di Tomba non la vince sulla professionalità e l’autorità della dottoressa.

Prendendo visione degli oggetti personali della vittima Tomba si rende conto che forse c’è qualcosa di più di ciò che Mantovani ha raccontato al loro primo incontro. 

Così iniziano a emergere i colleghi di Tomba: Aderna, l’agente Assi Leardo, il sardo Mulas, Barda… un team scanzonatissimo ma affiatato che si prende gioco delle proprie abitudini, dei propri accenti e del proprio modo di esporsi, creando un’ambientazione allegra ma al contempo seria e professionale.

Sono ragazzi e come tutti i ragazzi che hanno grosse responsabilità professionali qualche volta si lasciano anche andare alla goliardia; senza però penalizzare il loro rendimento professionale.

 Sono tutti assolutamente simpaticissimi.

Il povero Mulas che è costantemente vittima delle risa dei colleghi ha nel mio cuore un posto privilegiato perché mi ha fatto da subito una simpatia infinita!

Durante i primi sopralluoghi, dalle indagini effettuate ci sono delle forti incongruenze tra ciò che la vittima ha raccontato e ciò che la Polizia ha trovato.

Lo scooter che è stato rubato non ha lasciato nessuna traccia all’interno del parco Lambro, ci sono le impronte di tre persone (uomini, nessuna impronta femminile), un bossolo di fucile da caccia, la pallottola di una pistola e a terra una Berretta che non ha mai sparato. 

La storia non coincide di certo con un furto, che si sia trattato di un agguato? Di una resa di conti?

Tomba che è entusiasta dei suoi collaboratori ha una stima particolare per l’agente Leardo; il quale ha tanto potenziale per poter far carriera e Tomba adora vedere le modalità con cui questi gestisce le indagini facendogli da guida nel corso della logica e del pensiero critico sugli eventi e sugli indizi; rendendo noi lettori partecipi di quei ragionamenti, di quelle riflessioni, di quelle constatazioni di fatti.

La narrazione crea un’atmosfera incalzante, i punti di vista degli inquirenti sono acuti, esperti, ma soprattutto con note altamente ironiche che spezzano la tensione e la serietà degli eventi.

Si dice che ogni libro ha una sua voce, la voce dell’autore che lo ha scritto e in questo romanzo la voce di Bertarelli è chiara, priva di fraintendimenti, priva di dubbi.

Tra contenuti palpabili, l’utilizzo di parole comprensibili; nonostante ovviamente il genere letterario giallo sia poi responsabile dell’influenza narrativa della storia, ci permette di vivere il mistero con limpidezza, concentrandosi su una trama ben tessuta e arricchita da dialoghi coinvolgenti.

Per ottenere una scrittura così chiara è evidente che chiara è la mente e l’idea dell’autore che l’ha scritta.

La scrittura è rivelazione, è comunicazione e quando è una bella scrittura la comprensione di ciò che accade è fluida e assolutamente deliziosa e godibile.

Le successive visite di Tomba in ospedale per interrogare la vittima diventano particolarmente intense e accattivanti. 

Tomba ha intuito che Mantovani sta mentendo e sta cercando di depistare le indagini ma vuole fingere di stare al suo gioco perché: “tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino” come recita un vecchio proverbio.

Le indagini si alternano con scorci di vita fuori dal lavoro di Tomba che torna in una casa vuota e pulita grazie alla signora che si occupa delle faccende domestiche da quando sua moglie non c’è più.

Una donna che trova la forza e il coraggio di dirgli che forse sarebbe anche giunto il momento di lasciare andare sua moglie, di riprendere in mano la sua vita, di pensare un po’ al tempo che è rimasto senza aggrapparsi solo ed esclusivamente al tempo che è trascorso e che inevitabilmente non tornerà mai più.

Il destino a volte ci mette tra le braccia la vittima di un crimine dandoci la possibilità forse di risanare anche noi stessi. Accogliere qualcosa di inaspettato, sconvolgente, cercando di comprenderne il significato che poi ci darà modo di capire meglio un po’ anche noi stessi.

Mantovani pecca di presunzione, fa parte di quella categoria di persone che pensano di essere più furbe degli altri.

La dottoressa antipatica e distaccata si dimostrerà ben altro, tra tabulati telefonici, intercettazioni, reperti della scientifica, tra le considerazioni dell’agente Learda e quelle acute di Tomba, vedremo come la malavita è quella piovra dai mille tentacoli che possono arrivare ovunque, osserveremo il potere assoluto dell’omertà.

La bellezza assoluta di questo giallo è che la verità verrà a galla, il crimine verrà punito ma il cerchio non si chiuderà perché non sempre le indagini portano dove dovrebbero portare e spesso l’omertà è più potente della giustizia.

Non sempre la giustizia riesce a risolvere la vera entità di un crimine ma è pur certo che quando si tratta di malavita prima o poi anche il caso meno rilevante potrà essere riaperto. 

Tomba sa, ha compreso insieme alla sua squadra che c’era ben altro oltre ciò che emerge dalle indagini a tappeto effettuate dalla polizia ma il tempo sarà quello che darà tutte le risposte.

Nel frattempo chi ha commesso un crimine finisce in prigione, chi ha taciuto forse si salverà la vita; chi un giorno uscirà di prigione forse cambierà la sua vita o forse continuerà a vivere di criminalità.

La cosa certa è che Tomba ritroverà la voglia di vivere e l’agente Mulas forse smetterà di parlare usando il passato remoto per sembrare più colto.

Una lezione importante è che il passato non deve condizionare il futuro che ci resta da vivere; ciò che è stato resta ma ciò che sarà potrebbe essere ancora qualcosa che merita di essere vissuto. 

Un giallo che è come il cubo di Rubik, ci sono tante facce da completare rigirando, voltando, capovolgendo indizi e solo l’abilità di un esperto riuscirà a terminare, usando la logica, tutte le facciate del cubo.

“Omicidio in biblioteca” di Sulari Gentill, Piemme. A cura di Ilaria Grossi

“Scrivo la storia di quattro sconosciuti legati da un grido”

Freddie, si trasferisce dall’Australia a Boston grazie ad una borsa di studio per giovani scrittori e scrittrici.
Per trovare ispirazione per il nuovo romanzo decide di trascorrere una giornata nella bellissima biblioteca di Boston e si troverà a condividere il tavolo con altri giovani studenti.
Freddie darà a ciascuno di loro un nome di fantasia: Lettrice di Freud, Mento volitivo e Uomo irresistibile, perfetti sconosciuti e nuovi protagonisti di una potenziale e intrigante storia di amicizia, amore e segreti.
Seduti vicino, restano tutti impietriti al grido di una sconosciuta che sembra chiedere aiuto e attenzione nel silenzio della biblioteca.
Ed è proprio quel grido che lega la vita di quattro sconosciuti che diventeranno amici e cercheranno di capire chi ha ucciso una giovane e aspirante giornalista di nome Caroline. Ognuno ha un ruolo ben preciso nella vita come nel romanzo di Freddie, tanto che non riesce più a scindere e distinguere la finzione narrativa dalla realtà.
Immaginate una grande ragnatela dove il vero assassino è il ragno che muove i fili facendo in modo che tutti ne restano intrappolati.
Tutti dubitano di tutti senza capire chi è il vero manipolatore, bravo e astuto con le parole che hanno un peso decisivo, capace di nascondersi con diplomazia tra le righe del libro.
Con uno stile fluido, accattivante, mai banale la storia appassiona il lettore con tanta curiosità e suspense fino alla fine, anzi fino all’ultima battuta.
Sulari Gentill è stata una bella scoperta, una storia che coinvolge capitolo dopo capitolo con una doppia voce che incuriosisce molto, lasciando nel lettore una forte sensazione di attesa e del colpo di scena finale.

Buona lettura
Ilaria Grossi per Les fleurs du mal blog letterario

“All’ombra di Sherlock Holmes. Le avventure di Mary Morstan Watson” di Gian Luca Guerra , Mauro Castellini , Enrico Solito , Stefano Guerra, Delos Digital. A cura di Alessandra Micheli

Mi sono sempre chiesta perché quello spilungone borioso, intento a suonare il violino, che guarda tutti dall’alto in basso, sia cosi dannatamente affascinante.

Molto più (mi dispiace dirlo) del mio amato Poirot.

Sarà per quella Londra piena di contraddizioni, laddove il benessere e il rituale sociale, si scontrava con sempre più vizi e sempre meno virtù.

Sarà per l’ambientazione, fatta quasi di nebbia e di malsani impulsi umani, incapaci d’esser tenuti a bada, ma osservati quasi con cipiglio scientifico.

Fatto sta, che forse è questo il segreto dell’amore: non sapere ne come è iniziato e forse non conoscere neanche la data della fine.

Sperando o illudendosi che possa essere eterno.

E‘ questo il mio rapporto con Sherlock.

Vado quasi con ossessiva frenesia a impadronirmi di ogni suo scritto, non solo quello nato dalla mirabile penna di Sir Conan Doyle, ma anche di chi come me, vuole omaggiarlo con sempre nuove sventure.

Rispettando il suo creatore e persino l’epoca in cui ha visto la luce, ma cercando anche di usare la scrittura cosi come deve esser usata, riflettendo sulla società che, vista alla luce della lente ottica di Sherlock, non è poi cosi evoluta.

Abbiamo tutti e al tempo stresso siamo privi di qualcosa di importante: la spunta a volerci migliorare.

Cosi certi che ormai il più è fatto osserviamo una oscietà che cade a pezzi vivendo di sue perdute glorie.

Un po’ com’è stato il vittoriano, quasi a dar ragione al buon Vico, con i suoi corsi e ricorsi storici.

E cosi mio lettore, ho davvero divorato chili e chili di scherlochiana.

Chili non mica grammi.

Libroni e libretti, racconti e romanzi.

Tutto.

Eppure di diverse sfumature, dal thriller all’horror, fino a sfiorare persino l’ucronia e lo steampunk.

E quindi nulla mi riesce a stupire e non mi aspetto neanche che accada.

Ma diamine se il perfido Solito, con tutti i mirabili autori di questo meraviglioso tomo, ci sono riusciti.

Quindi grazie.

A nome di questa vecchia signora fissata con il pazzo con cappello e mantella.

Mi hanno sbalordita perché stavolta non è certo lui o il prode Watson uno dei protagonisti, colui che ci introduce non tanto la figura del nostro investigatore, quanto il motivo per cui Conan ha deciso, magari una serata gelida di Novembre davanti a una tazza di te, di regalarlo a noi, lettori di ogni epoca.

E sapete chi ci dona la visone squisitamente ribelle, come è giusto che sia, di Londra, del vittoriano e di Sherlock?

Mary.

Oh si, la nostra amata moglie di Watson, che appare di sfuggita in tutti i testi, a che rimane davvero un ombra, di quelle che però desiderano farsi vedere e che vorrebbero, o h si se vorrebbero, parlare con noi.

Sono secoli che Mary attende.

Sono secoli che vuole essere ascoltata.

E quello che ci ricorda, non è soltanto il valore della Ribellione femminile, ma anche il motivo per cui amiamo Sherlock e il giallo: il bisogno di giustizia.

Noi dobbiamo avere un investigatore, capace di riparare i torti, proprio perché in fondo a noi, nella parte buona., non malsana della nostra coscienza, noi abbiamo anche oggi, anzi oggi più che mai, bisogno di giustizia.

E cosi ogni racconto, ogni caso analizzato, non sarà altro che una riflessione su come gli ultimi hanno bisogno non già di compassione ma di un alternativa valida.

Di come in assenza di un autorità centrale che li rende “cittadini” sognano l’eroe di turno, imperfetto perché Mary Watyson, e Sherlock lo sono, ma deciso a superare ogni imperfezione e garantire a tutti pari opportunità.

Equità.

Rispetto.

Giustizia.

E Mary che è fortunata a essere cosi amata, diventa la paladina di questa necessità.

Va oltre il pregiudizio.

Sfida l’assopimento dato dalla comodità.

Se ne frega delle convenzioni sociali.

E ci conquista.

Almeno per me è stato cosi.

Ho amato questo libro e l’ho reso la mai spada.

Contro un mondo in cui oggi sono fiera di non riconoscermi.

E voi, cosa aspettate a ascoltare Mary Morstan Watson?

“Nelle loro mani” di Hilda Lawrence, Edizioni le Assassine. A cura di Alessandra Micheli

Erano mesi che non mi beavo dei libri “vintage” di questa straordinaria casa editrice.

E E non lo nascondo..mi mancavano troppo.

Ma penso che, anche le mie ragazze cosi desiderose di bella letteratura, dovevano avere il privilegio di immergersi in atmosfere che, nonostante gli anni, sono sempre più attuali.

E’ questo che rende i classici immortali.

Il loro potersi adattare, nonostante gli apparenti cambiamenti culturali e politici, a ogni epoca e a ogni tempo.

In fondo il tempo non è soltanto una nostra velleità, un modo per orientarci in un mondo molto più ampio di ogni nostra percezione?

In fondo, il tempo è solo una coordinata inventata da noi.

E il libro, di queste coordinate se ne frega.

Anche perché, nonostante le ere, le epoche, le date che si avvicinano sempre più pericolosamente al tremila, l’uomo è sempre lo stesso strano animale, diviso tra cielo e terra, sospeso tra paradiso e abisso.

Nelle loro mani, dunque, non fa altro che raccontare come ci rapportiamo, quotidianamente, al dolore, alla cupidigia, alla brutalità.

E lo fa con ritmo serrato, angosciante e claustrofobico.

Quel dover assistere ai movimenti altrui, senza la possibilità di muoversi diventa un vero e proprio incubo.

Ci si sente soffocare, si entra nel loop paranoico che invada ogni pagina e che, in realtà, rivela nelle battute finali di non essere altro che un senso acuto proprio dall’immobilità.

Accanto una pletora di visi, di voci, e di espressioni create senza far eccessivo uso delle descrizioni, facendo in modo che siano le parole, il suono e raccontare in un parossismo che cattura e ingloba il lettore, come una palude fangosa.

Ti risucchia la Lawrence.

Non da scampo.

Non ha pietà per il suo lettore.

E il suo perfetto possesso dei segreti della parola che crea il giusto incantesimo, quello che tutti noi, oggi cerchiamo un modo quasi ossessivo.

La perfezione letteraria.

In effetti è uno strano caso letterario, raro, in cui lo stile del giallo, subisce una strana metamorfosi, rendendolo davvero senza respiro.

E questa tecnica letterata, tanto amata dia moderni narratori, che si impossessano con arroganza dell’ars poetica dei talenti di un tempo, viene oggi resa famosa dai manuali di scrittura e in particolare, dagli autori americani.

E’ un coro di voci, dunque che porta avanti la narrazione, in un flusso di coscienza continuo e ininterrotto, laddove indizi, sensazioni e sospetti si intrecciano in uno strano, grigio ma al tempo stesso luminescente arazzo.

E non è un caso che, questo spettacolo oscuro, sia stato portato allo schermo da un grande maestro come Hitchcock “the long silence” del 1963.

E sapete perché?

Perché è un testo “cinematografico”.

E intendo con questo termine uno scritto che va oltre la parola stessa.

E’ scenografia, è movimento veloce.

E’ immagine.

E’ l’espressione della bellezza del visivo, poiché di questo si nutre, corpo, mica, visione, espressione e immediatezza.

E’ arte pura.

E come ogni arte non va letto.

Ma assaporato, venerato, riverito, e sopratutto amato, come si possono amare poche cose nella vita.

Cosa dire se non semplicemente perfetto?

“Lo strano caso dell’omicidio al Seaview Hotel”, di Glenda Young, Newton Compton Editori, Giallo. A cura di Barbara Anderson

Dopo la morte del marito Tom, Helen Dexter si trova davanti una scelta difficile: deve decidere se prendere in mano da sola le redini del Seaview Hotel, l’attività di famiglia, oppure venderlo e tentare un nuovo inizio. Non vorrebbe rinunciare a tutto ciò che lei e Tom hanno costruito, ma la gestione dell’hotel richiede forza e passione, cose che attualmente lei non ha. A restituirle un po’ di energia e fiducia è la prenotazione di una bizzarra cover band di Elvis Presley che deve esibirsi in zona. Tom era un fan sfegatato di Elvis, e Helen lo interpreta come un segno del destino. Nel frattempo, l’agente immobiliare Benson spinge per comprare la proprietà più in fretta possibile. La stessa pressione viene da un membro della band, Brian, che dice di agire per conto di un “amico”. Quando Helen rifiuta entrambe le offerte di acquisto, strani eventi iniziano a verificarsi e a far crollare la reputazione del Seaview Hotel. Il giorno dello spettacolo Brian scompare e il suo corpo viene ritrovato senza vita in un lago, e come se non bastasse una serie di recensioni negative inizia a sommergere l’albergo. Helen comincia a pensare che questi strani fatti siano collegati, ma non intende cedere ai ricatti: con l’aiuto del fidato levriero Suki decide di indagare sulle vite dei suoi ospiti e smascherare l’assassino. Sperando di non essere la prossima vittima.

***

Si dice che andando avanti nel corso della nostra vita, tutti tendiamo a tornare nei luoghi che ci hanno visti felici.

I luoghi che custodiamo nei ricordi: le vacanze con la famiglia, le risate durante una festa con gli amici, i momenti di relax abbracciati davanti al fuoco di un caminetto acceso guardando una serie alla tv.

Quegli attimi che sembrano un battito di ciglia ma che sono capaci di scuotere il mondo intero.

Attimi a cui a volte nemmeno facciamo più caso perché fanno parte di un vissuto quotidiano. 

Poi la vita ci mette a dura prova, ci ferisce, ci delude, ci da tanto e poi all’improvviso senza preavviso ci toglie via tutto e allora restiamo lì seduti davanti a una finestra con i nostri ricordi, i rimpianti, i rimorsi; che fanno a pugni dentro la nostra anima e che urlano e piangono all’interno del nostro cuore, come se il cuore fosse il nucleo di tutte le emozioni del mondo.

Ed ecco che questo romanzo inizia con uno dei dolori più grandi.

Helen ha perso suo marito da tre mesi, era il suo migliore amico, il suo amante, suo fratello, era il suo tutto

Una donna di mezz’età che aveva immaginato di invecchiare accanto all’uomo che amava, guardando indietro sui passi percorsi insieme nella vita e che ora invece quei passi si trova a doverli fare da sola.

E resta immobile, pietrificata, si sente incapace di andare avanti, si sente come se tutto all’improvviso si fosse fermato.

Non avevano figli poiché la vita li aveva privati di questa possibilità; ci avevano provato ma, dopo due aborti spontanei, decisero che la sofferenza per la perdita era troppo forte per poter continuare a provare. Così l’uno divenne la forza assoluta dell’altro. 

La loro creatura di cui prendersi cura era diventato il piccolo albergo di tre piani e dieci stanze che affaccia su una piccola cittadina balneare, dove la salsedine ti accarezza il viso col vento, dove i gabbiani ti cullano il sonno e il risveglio e dove tutto è speciale, semplice e magico.

Tom non arriva a compiere il suo cinquantesimo compleanno perché la malattia è bastarda, la vita è infame e tutto inevitabilmente ha un inizio e una fine. E quando qualcosa finisce un’altra cosa comincia: un cambiamento. 

E qui ragazzi il cambiamento arriva ed è nella linea narrativa della storia!

Mi sono sentita coinvolta, travolta, stravolta dal dolore di Helen lì seduta davanti alla finestra a osservare le onde placide del mare mentre si scola una bottiglia di whiskey per affogare i suoi ricordi e il suo dolore.

Ed ecco che all’improvviso scoppia qualcosa di inaspettato. 

Voglio premettere che non troverò molti consensi con ciò che sto per dichiarare, ma sono una persona sincera che non ha mai cercato consensi della gente: io ho una repulsione (perdonatemi vi prego) per il Re del Rock. L’indiscusso ribelle della storia della musica che sconvolse e turbò uomini e donne con il suo talento, la sua audacia, la sua voce seducente; quel ragazzo dal movimento di bacino che ha turbato e tolto il sonno a molte ragazze e donne di oltre 30 anni fa a me irrita in maniera incredibile, un’antipatia che ho sempre avuto. 

Indiscutibile che fosse un bellissimo ragazzo e che avesse una voce straordinaria ma a me a vederlo ha sempre dato una terribile sensazione, un fastidio che non so spiegarvi. Non voglio assolutamente offendere o denigrare nessuno ma capirete bene che nel momento in cui in questo romanzo appaiono i twelvis (12 Elvis) a me per poco prende un colpo.

E dico sul serio perché dal dolore immenso di questa donna in cui mi sono immedesimata subito, all’improvviso mi sono ritrovata in un raduno diimitatori di Elvis Presley che si ritrovano in questa cittadina balneare per un evento: il gruppo di 12 Elvis prenoteranno dieci stanze proprio nell’albergo di Helen.

Lei aveva chiuso dopo la morte del marito ma era tornata e forse cercava un segno, un messaggio, qualcosa che le desse la spinta a decidere cosa fare se tenere chiuso l’albergo o se aprirlo o forse venderlo.

Quando uno dei 12 Elvis chiama per una prenotazione. Il fatto che si trattasse di un gruppo di imitatori di Elvis le diede una scossa, suo marito amava Elvis, la loro storia d’amore aveva avuto come colonna sonora le canzoni di Elvis, suo marito si divertiva ad imitare Elvis e spesso avevano fatto feste a tema proprio in quell’albergo e questa opportunità ora sembrava quasi un messaggio di Tom.

“Prosegui ciò che abbiamo iniziato insieme”. E fin qui la spinta emotiva di Helen la comprendo. La sento vicina, La sento forte. 

Uno dei 12 Elvis era stato con la sua ex moglie e sua figlia in quell’albergo anni prima e aveva bellissimi ricordi: ricordava Helen e suo marito, la loro cortesia, gentilezza, la loro gioia nel gestire l’attività ed era per quello che aveva deciso di prenotare le stanze proprio lì (oltre al fatto che tutti gli altri hotel della zona erano occupati).

E arrivano questi uomini di varie età, di stazza e di apparenza diversa l’uno dall’altro, nessuno che effettivamente somigliasse vagamente a Elvis, ma imitare e impersonare un personaggio sta proprio nell’emulare e recitare una parte, e in questo avevano tutti il loro indiscutibile talento.

Insomma Helen tre mesi dopo la scomparsa di suo marito inizia a provare qualcosa; un’attrazione per uno degli Elvis il numero 1: Jimmy colui che l’aveva convinta ad aprire l’albergo per il raduno.

Helen non ha perso tempo e seppur combattuta dal dolore per la perdita del marito, la gioia di avere questo gruppo così eccentrico intorno la fa sentire viva, la fa sorridere le fa scoprire che ci sono cose per cui forse vale ancora la pena di proseguire il proprio cammino. Io con Elvis il cammino lo avrei interrotto, ma siamo tutti diversi ed Helen ha la sua personalità, le sue emozioni, il suo carattere ma soprattutto il suo destino.

Il futuro del Seaview Hotel è nelle sue mani così come il futuro delle persone che accanto a lei continueranno a gestirlo. 

Il Seaview Hotel  ha bisogno di Helen per poter continuare a splendere ma soprattutto è Helen che ha bisogno del Seaview per continuare ad avere un obiettivo nella sua vita frantumata in mille pezzi dove le farfalle all’improvviso si stanno divertendo a farne coriandoli con i piccoli frammenti spargendoli un po’ ovunque.

A scombussolare il tutto è un cadavere, uno dei 12 Elvis viene ritrovato morto e il Seaview diventa un luogo dove iniziare le indagini per scoprire chi sia stato l’assassino ed il suo movente.

Colpi di scena, intrecci, rivalità, gelosie, rapporti di vicinato carichi di tensione e sospetti, Helen non avrà più tempo per il suo dolore perché ciò che sta accadendo è qualcosa che sconvolge tutto il ridente villaggio.

Un assassino si trova in quel luogo, e nessuno si fida più di nessuno nemmeno di se stesso. 

Quando si dice nel titolo lostrano casodell’omicidio al Seaview hotel vi garantisco che “strano” è l’aggettivo più appropriato; perché questo non è un giallo ma è un giallo, non è un romance ma può esserlo, non è un thriller ma potrebbe apparire tale; di certo è che ci sono dei tratti fortemente comici che rallegrano una situazione dolorosa facendo sì che questo romanzo entri nella categoria dei libri che confortano il lettore, quelli che si leggono per passare qualche ora in relax, quelli in cui c’è un omicidio ma nulla è graficamente descritto, nulla è trattato con pesantezza e severità narrativa ma con leggerezza senza cadere nella superficialità.

Una di quelle letture leggere che ci fanno dimenticare per un attimo i nostri problemi e le nostre responsabilità. 

Helen è la locatrice disponibile e cordiale con i clienti ma è anche colei che deve imparare a essere tenace e forte per poter affrontare il suo futuro da sola.

Gli eventi che si susseguiranno intorno, dentro e nel vicinato del Seaview Hotel vi terranno con il fiato sospeso.

Un romanzo dal linguaggio pulito, ricco di personaggi assolutamente bizzarri.

Un misterioso, insistente, acquirente dell’albergo che cerca di fare pressioni sull’emotività di Helen nel periodo più sicuro della sua vita.

Un hotel è per sempre indubbiamente, così mi insegna Helen, ma io resto dell’opinione che per sempre preferirei indubbiamente un diamante.

Se siete amanti del giallo, affrontate questa lettura come uno svago, un paio di ore di relax e di leggerezza non è il classico giallo che vi porta nell’abisso di un omicidio e di un movente ma bensì in una cittadina piena di vitalità e di energia con le sue problematiche, i suoi conflitti, le sue piccole grandi vendette, le sue tragedie.

Fidatevi sempre del vostro cuore ma siate anche pronti a prendere delle tranvate che inevitabilmente vi arriveranno in faccia.

Perché Helen di colpi dalla vita ne ha presi molti e li continuerà a prendere fino alla fine di questa storia. Anche se ne uscirà in qualche modo vincente. 

A me in tutta la storia è dispiaciuto tanto per Tom, così mi siedo su quella spiaggia dove sono state sparse le sue ceneri e brindo ai suoi sogni realizzati e a quelli lasciati incompiuti; perché la vita va anche presa un po’ con ironia che di serietà già ci uccidono le responsabilità.

Mai dire mai nella vita ma se dopo tre mesi dalla scomparsa del mio tutto mi dovreste vedere fare gli occhi dolci ad un imitatore di Elvis mandate un’ambulanza e degli psichiatri perché sicuramente non sto bene.

Buona lettura.

“Nero Orchidea”, Edoardo Guerrini, LFA Publisher. A cura di Barbara Anderson

Gabriele Malfitano è stato ucciso nel cortile del Museo Archeologico Nazionale di Napoli, di notte in circostanze misteriose che hanno portato al furto della Venere Callipigia. Antonio Sanvitale, suo caro amico, non è un investigatore: vive a Napoli ma gestisce un B&B a New York che ha ereditato da suo padre, Archie Goodwin, colui che era stato il braccio destro di Nero Wolfe ed era rimasto l’unico proprietario della casa al 918 della 35esima Ovest, che Antonio ritrovò poco prima che morisse a sua volta. Con Lucrezia Sanvitale, sua madre, la sua amica Elisa Mascia, e con Elizabeth Gandolfini, chef e conduttrice di polso del B&B., formano una squadra per trovare l’assassino di Gabriele. Si imbatteranno in un mondo complesso: oligarchi russi che influenzano l’Occidente, rotte al centro del Mediterraneo, traffici di opere d’arte, vere e false, il potere dei soldi e la salvezza offerta dalla bellezza.

***

Napule è mille culture(Napule è mille paure)Napule è nu sole amaro(Napule è addore è mare)Napule è na’ carta sporca(E nisciuno se ne importa)Napule è na’ camminata(Int’ e viche miezo all’ate)Napule è mille culure(Napule è mille paure)Napule è nu sole amaro(Napule è addore è mare)

Pino Daniele

Oggi inizia con questa canzone la mia recensione perché un libro ci mette in connessione con una storia, ma anche un po’ con ciò che ci portiamo dentro, con ciò che abbiamo amato e ciò che abbiamo vissuto.

Io non sono napoletana anzi sono di origine romane; origini che sono innegabili nonostante ormai io appartenga a una cultura completamente straniera.

Ma Napoli l’ho sempre avuta un po’ nel cuore e attraverso questo romanzo ho ripercorso strade, vicoli di una vita fa ed è stata un’esperienza bellissima soprattutto per la prosa che fa emergere il dialetto napoletano, quello che, leggendolo, sentivo le voci nella testa come se mi trovassi realmente lì in quei luoghi, durante quegli eventi particolarmente intensi fatti di un presente che fa male e di un passato che viene tenuto nascosto, di un futuro fatto di probabilità e di imprevisti.

Una storia che passa da 30 anni prima a 30 anni dopo tra il fascino della bellissima Napoli e la caotica New York; due contrasti titanici di due città con la loro forza, la loro passionalità, ma in cui senza dubbio Napoli è quella che ne esce più vera, più cruda, più dolorosa, più affascinante.

Antonio è cresciuto senza la presenza di un padre ma con una madre che è stata capace di allevarlo al meglio delle sue possibilità. Una donna, Lucrezia, che era stata una grande star del Cinema sia in Italia che in America ma che aveva sempre avuto cura di suo figlio tenendolo lontano dalle difficoltà e dai pericoli della vita ma soprattutto tenendolo all’oscuro dell’identità di suo padre.

Lucrezia non aveva mai parlato di questo uomo, e Antonio aveva da sempre capito che non sarebbe stato nemmeno il caso di chiederlo perché se una persona non ci è accanto spesso è perché non vuole starci o perché non può farlo.

In entrambi i casi a cosa servirebbe farsi domande alle quali non si avranno mai risposte? Si va avanti e si vive al meglio con ciò che di meglio si ha e Lucrezia è stata una buona madre.

Madre e figlio sono in viaggio in un taxi newyorkese e stanno andando a bussare alla porta di un uomo, Frank abile investigatore di New York. Finalmente Antonio incontrerà suo padre e forse scoprirà qualcosa in lui che appartiene alla sua natura alle sue origini. 

Un senso di appartenenza e di possesso che nemmeno sapeva di desiderare così tanto.

30 anni dopo, Napoli.

Un brutto incidente è avvenuto al Museo, Gabriele l’amico di Antonio è stato ritrovato morto, la statua della Venere scomparsa. 

La morte di Gabriele non sembra assolutamente un incidente e la scomparsa della statua fa pensare che fosse invischiato con il furto e che qualcosa non fosse andata secondo i piani.

Eppure pensiamo di conoscere le persone a cui vogliamo bene, quelle con cui siamo cresciuti e abbiamo passato il tempo insieme ma il vice questore Jacopo Russo non si fa prendere dai sentimentalismi.

Lui guarda ai fatti e la presenza di Gabriele al museo in piena notte è piuttosto sospetta.

Strano come quando una persona muoia si tenda a parlare di essa al passato: “era una brava persona”, “era il mio migliore amico”. 

È come se la morte portasse via e cancellasse la presenza indelebile dei rapporti e dei sentimenti che abbiamo avuto con quella persona che ormai non è più in vita ma che non necessariamente non esiste più. Non nel nostro cuore.

Rivolgersi al passato nei riguardi dei defunti mi ha sempre dato fastidio, chi è stato nella mia vita ci è rimasto indipendentemente che sia ancora vivo o 3 metri sotto terra.

Antonio non potrà fare a meno di dare vita a ciò che ha ereditato da suo padre, l’abilità investigativa, e così in cerca di far luce sull’onestà del suo amico Gabriele, inizia a cercare informazioni, era stato bravo a farlo in fin dei conti, era riuscito perfino a rintracciare suo padre e a scoprire le vere motivazioni della sua scomparsa.

Siamo sempre in cerca di qualcosa, siamo sempre presi dal lavoro, dagli impegni e Antonio ricorda i suoi discorsi con l’amico Gabriele sul capitalismo e sul liberismo senza freni, le discussioni in cui ci si diceva che il sistema ha bisogno di conflitti per sfogare l’eccesso di produzione, la ricerca del denaro, la felicità che porta il capitalismo che poi è realmente felicità?

Perché se così fosse allora come si spiega che chi ha tanta ricchezza tenda ad essere avaro, razzista, egoista?

Chi è felice ha piacere di condividere la sua gioia, non la tiene nascosta o segreta per paura che questa non sia una condizione onesta.

E diciamolo Napoli nasconde il cuore delle truffe. La malavita, il denaro sporco, un po’ come tutte le grandi metropoli del mondo, una città che pulsa di tradizioni di sole e di mare ma anche di sofferenza e di dolore.

Ormai ci è chiaro come ad Antonio e Gabriele che a tirare troppo la corda questa poi si spezza e alla fin fine indipendentemente da chi è al potere e da chi è il nostro padrone il potere è del Dio denaro, gli altri sono solo le sue marionette appese ai fili di chi le usa e le sfrutta e così in questa storia di marionette e di maschere ce ne sono tante. 

Alcuni hanno seguito il loro copione, le loro istruzioni, altri hanno cercato di ritrovare il sentiero che si era perduto.

Tra le indagini per scoprire chi avesse ucciso Gabriele e chi avesse rubato la Venere del museo; tra la ricerca della verità sulle motivazioni per cui suo padre aveva abbandonato il figlio e la donna che amava… impareremo che molte volte nel corso della nostra vita si sbaglia a imboccare una traversa camminando fino a perderci e non si riesce più a tornare indietro e allora si va avanti nella speranza di ritrovare la strada giusta ma poi nel frattempo si trova altro, ci si distrae, ci si perde ancora di più fino a che non resta più tempo.

La vita ci prende di soprassalto, le responsabilità ci distraggono, e nel mezzo c’è chi cerca di fare soldi facili, chi pensa di essere superiore a tutto persino al tempo, all’economia, all’innocenza.

Quanto è bello essere felici all’improvviso? Il romanzo ci mostra il cogliere l’attimo di cui non si conosce il limite eppure è così diverso vivere un momento felice che sai già che sta per finire e allora devi godertelo cercando di non anticipare la sofferenza per ciò che sta per accadere.

Si perde troppo tempo a cercare risposte a quelle domande che forse non dovremmo nemmeno porci. La vita va vissuta con coraggio cercando anche di salvare gli altri oltre che noi stessi mettendo a repentaglio un po’ tutto, un po’ tutti, anche la nostra stessa vita.

Questo giallo ha qualcosa di diverso da altri romanzi del genere perché mi ha mostrato una componente umana di vita sofferta, di scelte anche sbagliate, di strade prese per sbaglio, di sentieri che si smarriscono nel bosco oscuro della vita.

C’è un delitto, c’è un assassino da scoprire, ci sono delle indagini da fare ma tutto è fatto portando il lettore a vivere l’esperienza di vita dei protagonisti 30 anni prima e 30 anni dopo facendoci scoprire qualcosa di unico che è la ricerca della felicità quella che spesso ci sembra così difficile da raggiungere solo perché non abbiamo il coraggio a volte di percorrere una strada nuova… ci si può solo ritrovare perdendosi.

Bisogna fare un passo indietro per poter poi prendere la rincorsa.

“Lo strano caso della bestia delle nebbie” di Claudio Vastano, Saga edizioni. A cura di Alessandra Micheli

Amo la serie di Caspar Pestalozzi non tanto perché fa ridere.

Ma perché nella risata dona qualcosa di prezioso a tutti noi: riflessioni.

In un modo leggero eppure con una certa vena di dolce amaro.

Caspar è l’eroe di tutti i giorni, quello che non vorremmo perché politicamente scorretto e poco attraente.

Apparentemente svampito, sui generis ha un cuore cosi enorme che in ogni libro ci si innamora un po’ più di lui.

Sempre di più.

Nonostante le battutacce e le sue odiose mancanze di savoir fair.

Ma in questo libro..

Beh Caspar è cosi favoloso da avermi costretto (ti odio per questo Claudio Vastano) a versare fiumi di lacrime.

Mai, in quattro anni di attività, io mi sono sentita cosi coinvolta da un libro.

Mai mi ha toccato cosi nel profondo da non riuscire a trovare le parole giuste per recensirlo.

La bellezza dolce e al tempo stesso piena di grida di accuse, si rivela in tutta la sua forza nelle ultime pagine.

Cosi belle da averle dovute rileggere per altre mille volte.

E ogni volta mi colpiva la poesia emanata da questo strano personaggio, che rischia tutto per custodire i sogni di una bambina, la sua purezza e un innocenza cosi vicina a madre natura e cosi minacciata dal nostro schifoso cinismo.

Dai soldi, dal potere dalla nostra finalità cosciente.

Noi che in questo libro veniamo ritratti come veri demoni, feroci e brutali, menefreghisti troppo accecati dalla voglia di emergere.

Di lusso e di successo.

Successo a che prezzo?

Non solo la vita umana ma la nostra stessa anima. In questo testo non esiste più la coscienza.

Uccisa dal vero cancro che oggi, in questi momenti atroci si rivela in tutto il suo orrore: la nostra stolta arroganza che ci fa essere non più ospiti ma padroni. Padroni di deturpare montagne, di sacrificare la salute in nome del dio mammona.

Che se la ride.

Ed è storia di ogni giorno.

Di tagli alla sanità, di manipolazioni comunicative, di progetti portati avanti da multinazionali, mentre la terrà piange, trema e urla il suo dolore.

Animali mostrati come simboli di potere, strappati alle loro foreste, trofei di quest’essere che di umanità non ha più nessuna sembianza.

E cosi ci beiamo del progresso che fora il cuore delle montagne, convinti che ci porti chissà quali vantaggi.

Incuranti delle leggi del sacro, delle leggi del buonsenso.

E poi ci lamentiamo quando la terra, arrabbiata si scuote e ci avverte basta piccolo uomo, basta con il tuo insano percorso.

Oggi ci siamo fermati, colpiti al cuore da un qualcosa di invisibile come un virus.

Ma ancora non abbiamo fermato lo sguardo sullo sfracello che il nostro sistema ha portato al mondo e agli uomini.

Pensiamo non a imparare dai nostri errori ma da ritrovare le stesse deleterie abitudini di sempre.

E allora in uno scenario fatto di osceni compromessi, è solo l’animo puro di Casper e di una bambina, a salvarci dal baratro.

Perché ogni lacrima versata su questo libro è una purificazione in più che libera la coscienza dalle orribili macchie con ci l’abbiamo insozzata.

Se la natura si addormenta ferita, può rinascere nel nostro impegno di oggi, di domani e di sempre.

E allora oggi non c’è spazio per la risata e per l’ironia.

C’è solo spazio per la commozione e per la compassione.

E ogni emozione che questo libro riuscirà a procurare un gran bel colpo al muro della nostra indifferenza.

Finché un giorno saremo risuscita a recuperare la bambina in noi, capace di fregarsene dei pregiudizi e fare amicizia con il selvatico, il selvaggio senza temerlo.

Grazie davvero Claudio.

Ama la terra dove sei nato

amala e niente più

amala come la donna che ti ha partorito

ama tuo fratello e la tua razza

amala

e nulla più

ama il tuo sangue e non l’acqua fuori

Amalo

e nulla più


Acqua che scende dal fiume

Hai la mia anima profonda

il cuore non batte

Se è fuori di questo mondo


questo mondo che sogna

che ti afferra e ti mette all’angolo

che ti punisce con passione


quel mondo che sogna

in cui manca, manca amore

Nella terra del dolore

Rende il cuore fragile

Juanes

“Stelle nere” di Maria Letizia Grossi, Giunti Editore. A cura di Jessica Dichiara

Un nuovo giallo, la terza indagine della profiler e commissaria Valeria Bardi. Un’avventura avvincente che spazia tra Firenze e il Medio Oriente.

Già dal prologo, sei righe con indizi seminati tra il detto e lo scritto tra le righe, si intuisce che avremo a che fare con qualcosa di misterioso, cupo, affascinante. Le rovine di una città mediorientale, la dentatura frantumata delle case devastate, un giubbotto con la scritta UNICEF. Sono pronta a partire per questa nuova avventura.

Quest’autrice ha la straordinaria capacità di caratterizzare i personaggi in maniera completa. Non sempre e non in tutti i romanzi è possibile farlo, ma in questo caso Maria Letizia Grossi ci porta immediatamente dentro la trama, facendoci interagire con tutti i presenti, con i loro pregi, i loro difetti, le loro abitudini quotidiane in una sorta di spazio privilegiato dovuto in parte anche alla conoscenza dei capitoli precedenti.

In questo nuovo caso, la Bardi si troverà ad indagare sulla morte di una donna “straniera”, ritrovata immobile dentro un pullman di linea Firenze-Strada in Chianti, con occhi sbarrati verde acqua iniettati di puntini rossi.

Così la guerra, una delle tante, sempre la stessa, sempre con lo stesso odore di morte e di disperazione, entra dentro le nostre case come qualcosa di conosciuto, qualcosa che rientra nelle nostre possibilità e che non smetterà mai di farci paura.

Valeria diventa subito un’amica, una persona in cui avere fiducia, over cinquanta, alta, vitale, appassionata e capace di provare meraviglia. È grazie a lei se in tutto il romanzo in cui sicuramente i temi non sono frivoli e allegri, si respira ottimismo e positività.

Saltò la colazione, senza però rinunciare a infilarsi un paio di muffin in borsa.

Ecco, Valeria è così, dinamica, oberata di lavoro, professionista seria e stimata che ogni giorno rischia di essere travolta dal tempo e dalle responsabilità, eppure quei due muffin messi velocemente in borsa riusciamo ad immaginarli e li percepiamo come un voler esserci.

Un vivere nonostante tutto, nonostante il divorzio, la malattia della madre, una figlia complicata e quella sensazione di fallimento che appartiene alla maggior parte degli esseri umani e che ci rende fragili, insicuri, in cerca di protezione.

La vittima, Nada Hiddad, ci porta dentro una realtà che vorremmo negare. Qualcosa che non ci piace e verso cui tutti, o quasi, negli ultimi vent’anni hanno preso una posizione. Qualcosa per cui ci illudiamo ci sia una posizione da prendere.

Nada è arrivata in Italia via mare, pagando un viaggio costoso su un’imbarcazione che l’ha sbarcata in Salento. E qui inevitabilmente il romanzo si schiera dalla parte dell’umanità stimolando una riflessione dentro l’indagine che rende tutto dinamico e disteso.

Nada ha un nome solo grazie al riconoscimento di un funzionario dell’UNICEF, Alain Touran, che aiutò la donna a fuggire. Sarà proprio Alain a indicare la pista principale di questo giallo che si snoda tra sofferenza, violenza, bugie e depistaggi.

Non è assolutamente un romanzo pesante, anzi, il giallo proprio per i suoi movimenti, si presta molto a veicolare messaggi e a stimolare il pensiero, svolgendo pienamente il compito che ogni buon libro dovrebbe saper fare.

Mi sono ritrovata a vivere dentro la storia personale di Valeria, una situazione non facile da gestire eppure così intima che spesso ho avuto la sensazione di invadere la privacy di questa donna contesa tra i lavoro e problematiche familiari altrettanto forti che metterebbero alla prova chiunque.

Cosa farei io al suo posto?

È una domanda a cui vorrete e dovrete dare una risposta.

E poi l’ironia, quella fresca, intelligente, mai scontata. Quella che è necessaria sia nel lavoro che in ogni altro aspetto della vita. Quella che ci chiama a sorridere gratuitamente e ci strappa da un ricordo doloroso o da un pensiero faticoso. Quella che alleggerisce la realtà e in questo caso la lettura.

Firenze è coprotagonista del romanzo. È amata, desiderata, rincorsa. Presente nei luoghi che tutti conosciamo e nascosta nei vicoli bui. È una città vissuta che l’autrice ama far toccare nelle sue storie senza bisogno di fantasia perché Firenze è già di per sé fantastica.

Sullo sfondo un amore che combatte per nascere tra mille impegni e difficoltà, qualcosa che mi auguro evolverà nei prossimi capitoli di questa appassionante serie. Valeria dovrà decidere quanto cuore investire ancora nella sua vita e quanto mettersi ancora in gioco.

È un romanzo di confine in cui bene e male sono tratteggiati sullo sfondo di un mare di possibilità interne ed esterne alla coscienza di ciascuno di noi. Un mare in cui tutti dobbiamo imparare a nuotare per salvare, per salvarci.

Consiglio per la lettura: stavolta abbiamo bisogno di un porto e di una panchina in cui leggere con il sottofondo dell’acqua che si scontra con l’opera dell’uomo. E un caffè doppio da sorseggiare insieme a Valeria.

“Morire ti fa bella” di Stefania Crepaldi, Salani Editore. A cura di Jessica Dichiara

Cominciato subito con il dire che ho un grosso problema con l’ironia. Non sempre la capisco e quando lo faccio quasi mai mi diverte. Chi come me con lo stesso problema? Ecco… dovete assolutamente leggere questo giallo.

Partiamo dalla dedica. A chi sta cercando il suo posto nel mondo.

Alzi la mano chi lo ha trovato. Ecco questo romanzo è dedicato alla maggior parte dei miei conoscenti e di questo sono assolutamente certa. Trovare il proprio posto è infatti una cosa complicatissima.

Ma vediamo cos’è questo posto che molti di noi a tutte le età cercano. Il nostro posto è quel luogo, spesso legato a un tempo preciso, in cui finalmente ci troviamo a casa. Il luogo dove avremmo sempre voluto stare. In cui siamo a nostro agio e ci sentiamo appagati e realizzati nelle nostre ambizioni, siano esse grandi o piccole, poco importa.

Fortunata, venticinquenne protagonista di questo romanzo, sa benissimo qual è il suo posto e sa anche che fra lei e quel posto ci sono tantissimi ostacoli che dovrà affrontare e superare per guadagnarsi il diritto di viverci. Dante, suo padrino, ci tiene infatti a ricordarle che quando si lavora non si può mettere al primo posto i desideri e le aspirazioni.

Di mestiere Fortunata cancella i segni della morte, è una tanatoesteta. Non per sua scelta però ma perché la sua famiglia ha un’agenzia di pompe funebri e nonostante questo mestiere le sia caduto addosso senza che lei abbia potuto evitarlo, la ragazza è bravissima a leggere i messaggi che la morte lascia.

La morte è un messaggio d’amore per noi che restiamo, è un invito a godere di nuovo delle nostre giornate.

Bellissimo messaggio che ci ricorda la nostra fragilità e la nostra scadenza e allo stesso tempo la nostra possibilità di essere felici, liberi e realizzati nell’unica vita che abbiamo.

È proprio così carissimi lettori! Nessuno di noi, ricco o povero che sia, ha una seconda possibilità. Abbiamo tutti un tempo limitato e la maggior parte di noi non può neanche quantificarlo.

Dunque ecco l’invito di questa bravissima autrice a cogliere quest’attimo che non ci verrà restituito per provare a realizzare i desideri più intimi e non arrenderci mai alla tristezza e allo sconforto.

Fortunata a venticinque anni non teme la morte. Quantomeno non teme la morte fisica, quella che sperimenta ogni giorno e che sembra sconvolgere le esistenze di tutti. La morte che teme Fortunata è quella dei sogni, delle aspirazioni, dei desideri. Quella per questa giovane e saggia ragazza è la vera morte che spegne lentamente l’uomo.

E davanti a cotanta saggezza non possiamo che inchinarci.

Dante Braghin, il suo padrino, è anche colonello della guardia di finanza e davanti alla morte di un giovane figlio di gioiellieri precipitato da un palazzo a Venezia, chiederà propria a Fortunata di aiutarlo nelle indagini confidando nell’occhio esperto e allenato della giovane a catturare i dettagli.

Accanto al lavoro che il fato ha scelto per lei c’è il lavoro dei sogni. La pasticciera. Il laboratorio di Mario, dove la nostra protagonista trova asilo di tanto in tanto, è un luogo affascinante in cui imparare un mestiere che non ha nulla a che vedere con la morte e le sue facce.

Un luogo che l’autrice descrive perfettamente anche attraverso immagini non visive. Il collo che perde la rigidità, il respiro che si fa regolare e leggero, sintomi di pace e di ritrovata serenità, ma anche in un certo senso di evasione.

Il suo posto, quel posto che l’autrice ha augurato a tutti noi di trovare, in cui immersa nei fumi della cucina Fortunata dimentica le difficoltà, i sensi di colpa, le aspettative del padre e si concentra sulla felicità che cancella qualsiasi stortura del mondo.

Sullo sfondo spettacolare Chioggia in festa con le sue botteghe medievali e i figuranti pronti per il Palio, Venezia con i monumenti meno visti come la Scala Contarini del Bovolo, le calli e tutta una serie di descrizioni dettagliate che mi hanno fatto apprezzare lo stile e la cura.

Vi sono albe in questo romanzo di cui vi innamorerete perdutamente e che vi faranno venir voglia di prendere e partire. Condivido pienamente la definizione che ci viene lasciata dalla Crepaldi, è un privilegio poter assistere a un simile spettacolo.

L’ironia del Signor M., il papà di Fortunata, è dissacrante e divertente e copre tutto il romanzo come una coperta leggera in grado di filtrare malessere e tensione.

La forza di queste pagine e la bellezza del messaggio che contengono possano accompagnarvi sempre.

Consiglio per la lettura: accompagnare con un vassoio di pasticceria fresca, meringhe, tarte tatin ed éclair oppure più semplicemente con un cornetto alla Nutella.

“La miniera maledetta” di Tyline Perry, Edizioni le Assassine. A cura di Jessica Dichiara

Un classico. È questa la prima parola che mi viene in mente per definire questo romanzo. Un classico nel senso più nobile del termine.

La miniera è un luogo già di per sé protagonista di tragedie storiche difficili da quantificare. È uno scendere sotto, uno scavare dentro, un mettersi in pericolo ogni giorno, lo stereotipo perfetto del lavoro difficile.

Quante volte abbiamo sentito la frase minacciosa: ti mando a lavorare in miniera! O quella ironica: sembra che se stato a lavorare in miniera! Ad indicare un luogo estremo dove i sogni, i progetti e le aspettative vanno a perdersi.

Tyline Perry, scrittrice del 900, discendente di una famiglia battista di origine tedesca, nasce in Texas e studia alla Columbia. Questo romanzo a cui le Edizioni Assassine ha ridato nuova linfa ebbe molto successo negli anni Trenta in America e arriva a noi con una curatissima traduzione di Simonetta Badioli.

L’autrice, trasferitasi in Colorado dopo gli studi per seguire il marito, comincia la sua carriera di scrittrice, sfruttando le esperienze dirette degli incidenti, crolli dei pozzi, esplosioni frequenti nelle numerose miniere presenti nello Stato.

La Miniera Maledetta è quella di Genesee. In mezzo al fuoco rimangono intrappolati diciassette minatori.

Ma il mistero si infittisce quando il nipote del proprietario della miniera Tony Sheridan scende nei pozzi nel tentativo di trovare qualcuno vivo e non fa più ritorno.

Quando finalmente l’incendio viene domato si scopre che Tony è morto, ma non come ci si aspetterebbe di morire in una miniera, bensì colpito da un proiettile che gli ha centrato il cuore. Anche gli altri diciassette corpi vengono ritrovati e il mistero è servito.

Le prime sensazioni in lettura sono di angoscia e speranza. Una speranza attaccata a un filo potente che impedisce alla coscienza dei soccorritori di mollare l’impresa disperata. Se c’era una possibilità di trovarli in vita, si sarebbe fatto uno sforzo…

È questo il sentimento che spinge Tony a soli 26 anni a indossare l’orrenda maschera antigas e calarsi nel pozzo nero della Miniera Maledetta mentre la luna illumina sinistra la scena e per me lettrice comincia l’attesa guidata dalla consapevolezza che l’autrice vuole me, mi invita ad entrare nelle mie paure e a riversare l’ansia tra le pagine.

Matthew North, zio di Tony e proprietario della miniera appare improvvisamente invecchiato. Non si rimane mai impassibili davanti alla possibilità della morte. Che tu sia povero o ricco non fa alcuna differenza. La morte fa paura per la sua democraticità e doverla affrontare, doverci fare i conti, non piace, a nessuno, in nessun tempo e in nessun luogo.

Vi ho spoilerato qualcosa? Assolutamente no garantisco. Tutto quello che vi ho detto accade nella prima manciata di pagine che intense e implacabili appaiono come la scena impattante di un film. Pagine che scorrono veloci come il tempo e rubano lentamente la speranza.

Conoscere Tony, sentirlo parlare, avvertire il suo entusiasmo bambino, la sua voglia di avventura, diventerà nel resto del romanzo un fare memoria in un crescendo di affetto che mi ha imposto di andare alla ricerca della verità.

Verità che come sempre non restituisce niente alla vita ma dà una ragione all’uomo che resta inerme davanti alla tragedia. Verità che nelle pagine di un libro può giocare al lettore un incredibile scherzo.

Conosciamo anche Rush al quale è toccato in sorte di studiare legge nonostante l’interesse e la propensione verso arte e musica. Regina, i suoi sogni, i suoi progetti e le sue convinzioni. Pat Brace, il suo odio, la sua sete di vendetta, la voglia di resuscitare antichi rancori. Norma, i suoi capelli ramati, gli occhi d’ambra, vivace.

Personaggi chiave, essenziali a noi per indagare. Caratterizzazioni forti e bilanciate da un punto di vista emotivamente coinvolto nella storia il quale ci porta dentro la trama guidandoci con ipotesi, dubbi e sconcerto.

E poi l’amore che anche qui gioca un ruolo chiave. Un amore tradito, abbandonato, ubriaco di rimpianti e nostalgia. Un amore fraterno, viscerale, in cui si leggono i fatti senza che le parole siano necessarie.

Tanti gli enigmi che vengono proposti via via dall’autrice e che il tempo scioglie per generarne di nuovi creando suspence e aumentando l’aspettativa con una scrittura fluida e una traduzione musicale e affine al testo e all’epoca.

Imprevedibile il finale date le premesse eppure permane a distanza di tempo il senso di abbandono. Quella forma intima di mancanza legata a una lettura immersiva e appassionata, un’esperienza che vi consiglio vivamente di fare sotto l’ombrellone, in un giorno di pioggia, sotto una grande quercia, al riparo dalla confusione.

Regalatevi questo viaggio avventuroso e appagante e quando tornerete a casa, fuori dalla Miniera Maledetta, passate a raccontarmi la vostra. Ci tengo!