“Misteriosi delitti all’isola di Milano” di Giancarlo Bosini, Macchione editore. A cura di Alessandra Micheli

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Ho sempre temuto chi si prende troppo sul serio.

Perché mancando del senso di ironia che caratterizza noi pazzi, noi sognatori, il mondo rischia di apparire grigio e smunto.

Anche il peggiore dei mali, il peggiore dei crimini ci terrorizza tanto da farci rannicchiare in un mondo illusorio, che rinnega una realtà che appare un mostro pronto a divorarci.

Chi invece usa l’ironia e l’umorismo non è superficiale, racconta con leggerezza a con acume il peggio di ogni società, i sentimenti meno nobili facendoli apparire per quello che sono: modi assurdi, sbagliati, sciocchi di affrontare la vita.

Non vi mentirò dicendo che, chi possiede questo senso ironico, non pensi che il male non sia un orco capace di fagocitarci.

Semplicemente non sta fermo a ignoralo, ma lo combatte.

Avete mai pensato alla scena più bella di Harry Potter e il prigioniero di Azkaban?

Caso strano l’incantesimo con cui si affronta il terrificante dissennatore non è altro che una parola, Riddikulus e la risata.

Allora l’orrore diventa patetico, quasi triste nella sua idiozia.

E può essere ucciso dall’ilarità, da quello che dentro di noi è cosi puro da farci sgorgare questo canto insensato dal cuore.

Bosini è il nostro incantesimo di fronte al male.

L’Abominio descritto non diventa soffocante, non anestetizza l’anima ma lo mostra nella sua reale natura: il tentativo patetico dell’uomo di emergere, quando dentro se, non ha i mezzi meravigliosi della fantasia. In ogni istante, anche in quelli più pesanti i suoi personaggi sanno ridere.

Di loro stessi, dei difetti dell’altro e sopratutto dei propri.

Ecco perché il suo giallo arriva quasi con eleganza e grazie alla risoluzione finale.

Perché è nella fantasia sconfinata di due personaggi fuori dai generis, capaci di andare oltre i ristretti confini stabiliti dalla società e quindi osservare il mondo da una prospettiva privilegiata.

Nessun dramma se un ingegnere propone nuove soluzioni al navigato commissario, cosi pronto a accogliere il nuovo e altre modalità di interpretazione del reale, da non sentirsi assolutamente minacciato.

Due facce della stessa medaglia, due uomini con un loro carico di dolore che, ironia della sorte, li ha resi più leggeri e più sensibili.

E’ un giallo perfetto in tutte le sue sfumature, con incastri dati da una sicurezza tipica della maestria letteraria.

Ma..ma non è il suo stile ad avermi colpito.

E’ quel senso di bellezza e di leggerezza che occhieggia dalle sue parole che ha l’intento di dimostrarci che, quello che oggi viviamo, è la vera commedia.

La vita è molto altro dai nostri insensati tentativi di emergere, di difenderci da una chimera troppo lontana e invisibile.

Da quella voglia di sopraffare l’altro, di giudicarlo, di dividere tutto in buoni e cattivi, in probi e peccatori.

La vita è muoversi con armonia anche nella cacofonia più assordante.

E’ accettare in fondo la diversità e viverla con ironia.

E i due meravigliosi personaggi sono, in fondo, gli uomini che dovremmo essere, capaci di sbrogliare i nodi, capaci di ristabilire i torti.

Ma sopratutto capaci di andare senza timore nel profondo abisso ignorato da tutti noi.

Quello del male che una volta osservato si rivela solo un mucchietto lamentoso di ossa. 

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