“Camminando dondolandosi su fili di ragnatela” di Paola Ricci, Eretica. A cura di Alessandra Micheli

Leggo poesia perché ho bisogno di vedermi riflessa in qualcosa.

Che sia lastra di vetro.

Che sia acqua che scorre.

O che sia verso.

Oggi che non mi riconosco e mi sono persa, durante questo strano uragano che è diventata la mia vita.

In cerca del sono primigenio, quello con cui sono stata creata e che mi ha messo a recitare su questo palco.

Leggo poesia affinché mi doni la leggerezza di sistemare il mio zaino cosi pesante, sulle spalle.

Troppo pieno di rancori, di speranze uccise dall’alba.

Di dolori mai urlati al cielo.

E di dubbi, tanti dubbi.

Dubbi che girano attorno alla mia testa come se fossero pianeti attratti da chissà quale forza magnetica. Girano e si scontrano ,creando un assordante rumore, simile al big bang originario.

Leggo poesia perché soltanto la delicatezza della parola, che è cangiante come i colori dell’alba può assumere i mille significati, gli stessi che elabora quella mente, cosi ossessionata dal macinare pensieri prima che la quiete arrivi con un passo soave, a azzittire il concerto.

E metta ogni suonatore a riposo.

E cosi cammino, ma non è affatto un passo sicuro.

E’ il passo dondolante di chi sente il movimento della terra, dell’anima, e si ogni cambiamento.

Sospesi su una linea immaginaria sottile, come il filo di una ragnatela. Eppure piaceva questo movimento rotatorio.

Piaceva a noi bimbi con quella filastrocca che oggi è un po la colonna sonora di ogni mio passo.

Ci dondoliamo su fili sottili di ragnatela d’argento, sopra una abisso chiamato vita, con uno sguardo fisso nel firmamento di un tempo immaginario.

E la musica suona.

Musica che racconta tramite l’intricato dedalo di note di noi.

E’ la voce di Paola che ci prende per mano e ci porta a scoprire cosa si cela dietro gesti ripetuti quasi senza accorgersene.

Dietro eventi cosi semplici, fino a sfiorare la banalità.

Allora gli fu tutto chiaro, quel passaggio che non era riuscito a cogliere a memorizzare non era altro che la variazione del suono. La creazione del suono può non finire se migra verso qualcos’altro che è nuovo, ma non lontano da sé stesso.

Il vento stesso che racconta nenie antiche, che diventa il simbolo della creazione, di altro che non è mai simile a se stesso, ma sempre novo, sempre diverso.

Sempre.

Leggo poesia perché quel per sempre diventi fluido da bere, io assetata in cerca di un momento congelato in eterno, lassù dietro la settima stella, capace di racchiudere tutto.

Sapori dimenticati e perduti.

Idee vaneggiate e mai raccolte nel giardino dell’iperuranio.

Ricordi, che sembrano semplicemente aliti di vento immaginari, lievi e forti.

Fino a sorseggiare persino quel dolore che rifiuto, ma che il verso mi porge in un calice di cristallo.

Lo bevo e assume un sapore acidulo, d’infanzia e illusioni.

Di speranza e di aspettative deluse

Punge lentamente, rispunta quel dolore avanza,

avanza, sopraggiunge, si fa largo

avanzando, spingendo pungendo, dove andrà;

Forse dimenticato, forse sperduto

ma per un attimo ritrovato ha deciso di alzarle il capo

di tenere la fronte libera dal sudore freddo

di disperdere quelle ombre dagli occhi stanchi

E quel ricordo le ombre le disperde,cosi pieno di malinconia e di forza.

Cosi semplice da ritrovare in questa raccolta, che è prosa e poesia, che è ritmo e pausa.

Che è semplicemente il soffio di vita che mi serve per poter alzare la testa e specchiarmi.

Leggo poesia perché forse so di non poterne fare a meno, cosi come non posso fare a meno di vivere, ogni giorno, come se fosse l’ultimo passo di danza

Dondolandomi ti rincorro, ti raggiungo, ti separo dal silenzio,

allargo i fili per raggiungerti, per sentirti, per amarti,

per assaporarti, non morirò mai avendo punto

la lacrima che è caduta, che è dispersa, è bagnata

di passioni, di serena lontananza

di serena reminiscenza che come spalmata sul vetro

trasparente offusca il lontano dolore, ma sparirà,

si dileguerà, alla fine si riappacificherà come sordo

rumore dello squillo lontano dietro al tutto.

E dietro il tutto che si manifesta quasi come una gnosi, dopo l’ultimo verso, il sipario cala e la poetessa si inchina.

Il sorriso di chi ha appena assistito alla propria rinascita accompagna quel lento dondolio, quel camminare ora soddisfatta, precaria sul filo di una ragnatela.

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